Scongiurato il carcere per i giornalisti, ma la nuova formulazione del ddl diffamazione (a mezzo stampa o con altro mezzo di diffusione) continua a far discutere per la previsione della cosiddetta “competenza territoriale”, secondo cui il tribunale che deve valutare l’eventuale denuncia deve essere quello che ricade nel territorio della “persona offesa”.
Politica spaccata, editori contrari, preoccupati i giornalisti che chiedono una revisione della norma. In particolare, l’associazione Articolo 21 secondo cui si tratterebbe di una clamorosa deroga ai principi costituzionali. «La competenza territoriale in ambito penale – spiega l’associazione – è generalmente ancorata a criteri di natura oggettiva, legati al luogo di consumazione del reato. Nell’impossibilità di individuare con certezza il sito da cui viene diffusa una comunicazione telematica, si dovrebbe ricorrere, come già dispone il codice, alla residenza dell’indagato, al fine di favorire l’esercizio del diritto costituzionale di difesa». Se passasse la norma così come è attualmente formulata, il giornalista di una testata sarà costretto a spostarsi sul territorio nazionale (o estero) per fronteggiare le varie accuse di diffamazione e presentarsi per la difesa nei tribunali.
Finora il legislatore ha ragionato su tre possibili soluzioni al problema: scegliere il luogo in cui risiede il server su cui è ospitato il sito; quello di registrazione della testata o la residenza della persona offesa. Nel primo caso, è evidente la difficoltà di intervenire per la possibilità che il server si trovi in luoghi al di fuori della giurisdizione italiana; nel terzo caso, si parte del presupposto che la parte offesa non sia l’unica ad avere letto la notizia, e lì dove si trova quindi si consuma l’offesa al suo onore. La seconda via, al momento accantonata, sembrerebbe la più ragionevole per i giornalisti, ma costringerebbe anche i diffamati (e spesso anche i diffamatori) a spostarsi lungo lo Stivale per raggiungere le aule giudiziarie.
Non solo. Il disegno di legge, oltre che per la questione della competenza territoriale, preoccupa pure per l’introduzione di sanzioni pecuniarie più pesanti e insostenibili per freelance e precari con multe che vanno fino a 10mila euro per una diffamazione semplice, e fino a 50mila per quella “avvenuta con la consapevolezza della falsità”. Compare pure il principio del diritto all’oblio, in base al quale l’interessato può chiedere “l’eliminazione, dai siti internet e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori dei dati personali trattati in violazione delle disposizioni di legge”. Così come diventa più severa la legge sulla questione delle rettifiche che vanno pubblicate entro le 48 ore della ricezione della richiesta e senza commento, risposta e titolo, quindi senza possibilità alcuna di poterci ragionare apertamente sopra.
Un puzzle che così composto ingabbierebbe non poco la libertà di stampa. Era il 2011 quando il governo Berlusconi provava a mettere il bavaglio all’informazione, non ci riuscì nel modo desiderato. Ora la questione è tornata di attualità.