È la sera prima della vigilia. Sono sul treno regionale 2421 delle 19.31, direzione Napoli. Roma chiude i suoi battenti dietro l’ultima carrozza. Sto combattendo la sonnolenza, con gli occhi solleticati dalle pagine di un libro, mentre sento il vociare allegro, con improvvise impennate tra il beffardo e l’ironia di un signore seduto qualche posto accanto al mio. È Marco Zurzolo, celebre sassofonista napoletano dalla fama internazionale, nonché fondatore dello ZTL (Zurzolo Teatro Live). Uomo di musica e teatro, dunque, uomo d’arte. Tra il mio profilo e il suo quello di un altro talentuoso musicista, il bassista e contrabbassista Diego Imparato. È la mia serata fortunata – penso – il solito viaggio in treno dalle tre ore infinite e flemmatiche diventa all’improvviso una circostanza d’allegria, quasi che quella carrozza si fosse trasformata di colpo in un palcoscenico.
Si parla del più e del meno: Zurzolo è bello lasciarlo a briglie sciolte, lasciargli decidere che discorsi intraprendere, che tematiche toccare. Qualche domanda però è d’obbligo. Così gli chiedo dell’ultimo spettacolo e lui mi parla con entusiasmo di “Cercando segnali d’amore nell’universo”, la vita di Luca Barbareschi che si fa spettacolo nel suo Eliseo di Roma. Gli chiedo che parte ha la musica nello spettacolo e Zurzolo risponde che non si tratta del solito one man show con la musica come accompagnamento, come cornice; la musica nello spettacolo interagisce, dialoga con lo stesso Barbareschi in un perpetuo scambio emotivo che passa dal divertimento al dramma con la confessione da parte dello stesso Luca di uno degli eventi più difficili della sua vita. “In alcuni momenti facciamo delle cose sudamericane, in altri più rock, altri jazz, dipende dalle situazioni in cui si trovava. Diamo un aiuto al racconto della storia. – spiega sempre Zurzolo – Lo spettacolo andrà in scena anche la notte di capodanno, con proseguo in musica nel foyer”. “Ma i musicisti non fanno mai festa?” chiedo banalmente io cercando di scatenare una risposta delle sue. La risposta non si fa attendere: “Sono 34 anni che faccio questo lavoro, dovrei andare in pensione ma la verità è che più ti avvicini a quel momento più ti ci aggrappi con le unghie perché quella è la tua vita e non smetteresti mai di interpretarla. Inoltre, quando c’è lavoro siamo sempre felici, visti i tempi che corrono”, aggiunge con ironia il sassofonista, lasciandosi andare poi a una breve digressione critico politica, gettando lì persino l’idea fantastica di uno stipendio per persone creative. La sensazione mentre Zurzolo parla è che le parole anticipino il movimento della bocca, quasi che il corpo e il suono fossero un tutt’uno indivisibile e magico, come per la buona musica insomma.
È la volta poi del nuovo album, di “Chiamate Napoli 081”, un disco che trae simbolicamente spunto dal film e dalla canzone di Mario Merola, un disco che è di denuncia e amore, ha quella doppia faccia di entusiasmo e coscienza che caratterizza tuta la carriera artistica di Zurzolo. Lo spunto per parlarne lo dà Diego Imparato che, insieme a Gianluca Brugnano (alla batteria) e a Francesco Villani (al pianoforte) compone il quartetto acustico che ha dato vita all’opera quarta di Zurzolo, pubblicata da Itinera, etichetta nata dall’esperienz del Pomigliano Jazz. Diego deve quasi ricordargli dell’album come se nel divenire fluente delle parole ci si potesse dimenticare di spendere qualche parole anche per il nuovo nato, il disco che impreziosisce una carriera già di per sé ricchissima. Per chiudere questo articolo/racconto di una giornata in treno non posso non rifarmi alla traccia numero 8 del suddetto album: “Napoli centrale”, come destinazione del viaggio