Il 25 aprile è una data che segna una commemorazione dallo spiccato significato militare in origine, che poi ha ceduto via via il passo a quello più marcatamente patriottico e sociale. Esattamente il 25 aprile del 1945 ebbe ufficialmente inizio la liberazione dell’Italia dai fascisti; un anno dopo, quella data è entrata nella storia della Repubblica italiana come l’anniversario (o festa) della liberazione.
Che poi vuol dire liberazione dalla dittatura, che a sua volta rappresenta la prima, fondamentale tappa del passaggio ad un’altra forma istituzionale. Celebrare l’inizio della democrazia in un Paese non è cosa da poco, soprattutto se consideriamo che quella democrazia ce la siamo dovuti conquistare con i denti, nemmeno un secolo fa.
«È sempre tempo di Resistenza – ha detto per l’occasione il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – È tempo di Resistenza perché guerre e violenze crudeli si manifestano ai confini d’Europa, in Mediterraneo, in Medio Oriente. E, ovunque sia tempo di martirio, di tirannia, di tragedie umanitarie che accompagnano i conflitti, lì vanno affermati i valori della Resistenza. Non ci può essere pace soltanto per alcuni e miseria, fame, guerre, per altri: queste travolgerebbero anche la pace di chi pensa di averla conseguita per sempre. Settant’anni di pace ci sono stati consegnati dai nostri padri. A noi spetta il compito di continuare, di allargare il sentiero della concordia dentro l’Unione Europea e ovunque l’Europa può far sentire la sua voce e sviluppare la sua iniziativa»
Il fatto che un giorno prima – e la scelta della data non è casuale – da qualche altra parte, qualcuno festeggiasse l’anti 25 aprile deve destare qualche preoccupazione. Almeno impensierirci. Dovremmo chiederci, magari, cosa c’è che non va nella festa della liberazione?
Armando Santoro, presidente dell’Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale, ha dichiarato che per loro il 25 aprile non è un giorno di festa. Ricordiamo che la Repubblica Sociale Italiana fu un regime dalla breve durata, dal settembre 1943 all’aprile 1945, istituito nelle regioni centrosettentrionali della penisola al fine di preservare il regime fascista dopo l’avanzata degli alleati. Quel che viene da chiedersi, a questo punto, è a chi faccia nostalgia la RSI. Che poi in sostanza equivale a chiedersi chi abbia nostalgia del fascismo.
Che il fascismo abbia costituito un pezzo importante del nostro passato più recente, e che abbia notevolmente condizionato gli avvenimenti che seguirono, è un fatto innegabile. Ma basta, questo, a far sì che si possa commemorare questa pagina di storia?
Forse oggi il saluto romano fa più ridere che altro, e siamo talmente tanto sicuri del nostro presente che nemmeno gli diamo peso quando vediamo qualcuno che tenta disperatamente di riproporre con un gesto un’ideologia che abbiamo tentato, altrettanto disperatamente, di mettere da parte. Eppure quel saluto, quel gesto lì, con la mano tesa in avanti, non molto tempo fa aveva un significato. Diciamocelo, vedere i partecipanti a questa manifestazione urlare ad alta voce Sieg Heil fa venire i brividi. E non ci raccontiamo la solita storia che siamo in un Paese libero dove ognuno può dire quello che vuole, perché la libertà di parola non cancella il fatto che esistono delle cose sbagliate da dire.
A proposito di libertà, Armando Santoro ha pensato di concludere così il suo discorso: «Giunti a questo punto, visto che viviamo in un Paese libero, mi taccio». Qualcuno lo informi che la censura sulle libertà d’espressione esisteva anche nel periodo fascista, e da allora le cose sono molto migliorate. Per fortuna.