Officina delle idee

25 ottobre: un popolo per il lavoro da rispettare

di Domenico Pizzuti

Alle 9.00 di una luminosa mattinata ottobrina romana  a piazza della Repubblica tra rosse bandiere, magliette e palloncini con il logo della CGIL mi inserisco tra una densa e tranquilla folla di lavoratori in partenza per Piazza San Giovanni per il comizio conclusivo di Susanna Camusso all’insegna di “LAVORO, DIGNITA’, UGUAGLIANZA”. Sono adulti lavoratori di vari settori produttivi,  pensionati, disoccupati, precari, provenienti  da diverse località o regioni italiane, con denuncia di crisi aziendali e  richiesta di rispetto dei diritti del lavoro. Sono realmente un popolo  che parla la stessa lingua con varie cadenze, composto da lavoratori sindacalizzati secondo la tradizione della CGIL, non così giovane, persone stagionate come la Susanna, ma saldi e fedeli. Da parte degli affiliati al settore dei pensionati  (3 milioni di iscritti) sono  ostentate scritte “Nonni per il lavoro”, “Nonni per i giovani” per continuare la tradizione e la dignità del lavoro: Una giovane calabrese porta questa scritta: “Sono laureata, disoccupata. Almeno ci sono i nonni…”

Al di là di tutte le contrapposizioni, il politichese, le cronache più o meno fedeli della manifestazione, è a questo popolo di lavoratori, soggetti primari del lavoro secondo la nota enciclica di Giovanni Paolo II “Laborem exercens”, che esprime la dignità del lavoro nella loro vita, come papa Francesco non si stanca di richiamare per i singoli e le famiglie, che bisogna guardare per garantire “sicurezza di vita e salute”, come recita il canone della Messa. Sono una parte sana del Paese, e questo popolo di lavoratori non può essere umiliato, in nome del superamento della fabbrica fordista e della fine del posto fisso, ed una flessibilità del lavoro  che significa prima facilitazione di licenziamento da parte delle imprese e poi tutele crescenti. Un cambiamento del mercato del lavoro, del lavoro che non sembra a vantaggio dei lavoratori, mentre non si mettono mai in questioni politiche industriali dei governi, delle organizzazioni imprenditoriali che non hanno concorso a modernizzare il sistema e le strutture industriali del nostro paese, per non citare l’imponente evasione fiscale. Sono due pesi e due misure, forse perché si tratta dei padroni del vapore. Non basta il giovanilismo rampante, il decisionismo, la battuta facile per contrapporre   nostalgia del passato e futuro,  protesta e proposta, tra chi si raccoglie in una piazza per affermare le proprie ragioni e chi creerebbe lavoro discutendo in un garage, perché si può giocare con le belle statuine, ma non con gli esseri umani.

Il  sindacato, specialmente la CGIL, viene facilmente accusata di ideologia, di essere un grande e lento elefante novecentesco, non  all’altezza delle trasformazioni dei tempi, ma a nostro avviso è  sospetta anche  la supposta  flessibilità del lavoro o meglio dei lavoratori a tutti costi per garantire ed incrementare occupazione  nei vari settori produttivi. Avvertiamo l’esigenza che si mettano allo scoperto le supposte ideologie o visioni delle due parti, le premesse dei discorsi per non dire interessi  o sostegno di interessi da parte di  rappresentanti politici in auge o meno. E’ in questione sia  la mediazione universalistica degli interessi dei cittadini da parte di coloro che hanno appunto il “governo” del paese, sia la mediazione ineliminabile dei corpi intermedi  come le organizzazioni sindacali  a vantaggio non solo degli iscritti ma di carattere inclusivo, cioè dei precari, dei lavoratori in nero, degli apprendisti e così via. Non si possono ignorare sia le grandi trasformazioni degli scorsi decenni verso una “Società della conoscenza o società dell’informazione”,  che ha superato la manifattura della società industriale, sia la crescente precarizzazione e  flessibilità del lavoro sulle spalle dei lavoratori che ha configurato secondo alcuni una “lotta di classe alla rovescia”. Ma che ne è o Renzi della dignità del lavoro appunto “umano” da assicurare, e dell’eguaglianza da realizzare e non solo sbandierare perché qualcuno non sia meno eguale degli altri?

Forse si attaglia la speranza  di Giobbe, piagato, calunniato  e condannato dai suoi amici: “Io lo so  che il mio Vendicatore è vivo e che, in ultimo, si ergerà sulla polvere” (19,25). Un Vendicatore o un guidatore del popolo dei lavoratori? Non un messia del cambiamento.

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