“Pure gli altri ce la dovevano fare, perché solo io? Non mi do pace su questo”
Era una limpida sera di primavera quella di 30 anni fa, il 10 aprile 1991, quando nella rada livornese, alle 22.25, il traghetto Moby Prince della Navarma entrò in collisione con l’Agip Abruzzo, petroliera della Snam, a 2,7 miglia dalla costa. Fu l’inferno: morirono in 140 tra passeggeri e equipaggio del Moby. E’ stata la più grande tragedia della marineria italiana, finora senza colpevoli e con tanti misteri.
L’unico superstite della vicenda è Alessio Bertrand, ora fortemente traumatizzato dall’accaduto. Ancora oggi Bertrand non riesce a dormire più di tre ore a notte. Con il risarcimento ha comprato la casa dove vive ad Ercolano con la moglie e due figli, che mantiene con la sua pensione d’invalidità. Alessio non è mai più salito su una nave. Questo è quanto ha scritto l’Ansa riguardo l’accaduto.
Ma tutt’ora, la vicenda che coinvolge il Moby Prince resta avvolta nel mistero, senza nessun colpevole.
A tal proposito si è espresso Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica, che ricorda la strage in questo 30esimo anniversario e chiede impegno pur di far luce sulla questione.
“Sulle responsabilità dell’incidente e sulle circostanze che l’hanno determinato è inderogabile ogni impegno diretto a far intera luce. L’impegno che negli anni ha distinto le associazioni dei familiari rappresenta un valore civico e concorre a perseguire un bene comune“. Poi continua con “Ricorrono trent’anni dall’immane tragedia che coinvolse il traghetto Moby Prince. Centoquaranta persone, passeggeri ed equipaggio, persero la vita in seguito alla collisione con una petroliera e all’incendio che ne scaturì. Il primo pensiero è rivolto alle vittime, alle tante vite improvvisamente spezzate di adulti e di giovani, e al dolore straziante dei loro familiari, che si protrae nel tempo e ai quali rinnovo la vicinanza e la solidarietà della Repubblica. È stato il disastro più grave nella storia della nostra navigazione civile. Il popolo italiano non può dimenticare. Come non dimentica la città di Livorno, che vide divampare il rogo a poche miglia dal porto e assistette sgomenta alla convulsa organizzazione dei soccorsi e al loro drammatico ritardo”
Tutto ciò che ci resta di quel giorno è un uomo, ormai traumatizzato a vita pur essendo l’unico superstite.