Dopo avere ucciso Abele, Caino lasciò i campi e fondò una città, Enoch, dal nome del figlio. La storia della civiltà comincia dunque da un gesto efferato. Il racconto biblico può ora essere inteso come memoria della violenza ancestrale che costituisce l’ultimo fondamento del potere politico, ma anche suggerire, al contrario, che le città degli uomini sorsero proprio per contenere e lasciarsi alle spalle la violenza originaria.
L’interpretazione dei miti delle origini non è mai univoca. Quel che ci consegna è un nodo che tiene insieme la violenza, il potere, la civiltà, la tecnica, la discendenza e i suoi nomi, l’azione umana e le sue conseguenze, senza darcene la soluzione definitiva. Il futuro è aperto.
E oggi lo è quanto mai prima. Se ne può dare un’immediata verifica, formulando una semplice domanda: chi è in grado di fornire previsioni attendibili sul futuro delle nostre città? Questa difficoltà dipende certamente dalla straordinaria accelerazione tecnologica che stiamo vivendo, così come da quella dimensione del rischio che il sociologo tedesco Ulrich Beck indicava come connaturata ai modi di vita contemporanei ben prima del dilagare imprevisto e imprevedibile della pandemia, ma anche – va detto – dalla fragilità dei sistemi di decisione pubblica e della sfera politica in genere.
In Italia, è già accaduto che in una fase politica di transizione si guardasse alle città come luoghi di formazione di una nuova classe politica. La legge sull’elezione diretta dei sindaci (1993) ha aperto una stagione di cambiamenti di costumi politici e istituzioni pubbliche che continua a essere in genere indicata con l’etichetta di “Seconda Repubblica” senza tuttavia che si sappia bene in che modo rappresentarne l’ordinamento complessivo. Di questa storia recente viviamo, ed è questa storia che viene richiamata oggi, alla vigilia di una nuova tornata amministrativa, che porterà al voto alcune delle principali città italiane: nasceranno nuove esperienze? Si formeranno nuovi equilibri? Sarà recuperata parte di quella sfiducia nella politica – nella sua affidabilità, nella sua autorevolezza – che affligge il Paese e certamente ne limita lo sviluppo?
L’incontro promosso dalla Scuola di politica “PolìMiNa”, nell’ambito delle iniziative organizzate da Il Sabato delle idee, con alcuni dei principali protagonisti della città italiane – Roma, Firenze, Palermo, Torino – vuole offrire un contributo di idee e di proposte sul futuro delle nostre città – e, va da sé, del Paese intero. Non v’è chi non veda che la domanda sulla rigenerazione degli spazi cittadini, sui tempi e i flussi della vita urbana, sull’efficienza dell’azione amministrativa è mai come oggi attuale, anzi urgente. Transizione ecologica e transizione digitale, nuove forme di solidarietà, ripresa economica e capitale sociale: tutto attraversa le città e impone di riconsiderare, delle città, l’immagine, i segni, le pratiche, le funzioni. E le istituzioni. Perché le città sono la prima e fondamentale palestra democratica nella quale, come cittadini, siamo chiamati a partecipare; la più vicina e la più sensibile, la prima in grado di avvertire quali bisogni, quali passioni e quali ragioni attendono di essere rappresentate nella sfera politica.