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Europei, Italia: ecco ‘radio’ Jorginho. “Parlo tanto in campo per aiutare gli altri. Umili e affamati, sembriamo il Chelsea”

Il leader non dichiarato della Nazionale ha un nuovo soprannome: Radio Jorginho. L’oriundo brasiliano col numero 8, decisivo con la Turchia, parla moltissimo in campo, guidando i compagni come il più classico dei cosiddetti allenatori in campo: “E’ una cosa che mi viene naturale. La comunicazione è veramente molto importante, durante la partita. Io vedo le cose da dietro e cerco di dare informazioni a tutti, nel mio ruolo questo è fondamentale. In effetti finisco la partita senza voce, fa parte del gioco. La mia intenzione è di aiutare tutti”. Il ruolo, in Sudamerica, ha una definizione specifica e una tradizione lunghissima: il volante. Ma il Jorginho bambino sognava di fare l’attaccante e i suoi modelli erano goleador o fantasisti.

“.“Xavi e Pirlo fonti di ispirazione”

Lui faceva il trequartista: “Quando ero bambino, guardavo più gli attaccanti: Ronaldo, Ronaldinho, Kakà. Poi, a 13 anni ho trovato un allenatore, Mauro Bertacchini, che mi ha messo più dietro. Mi ha detto: il tuo futuro è qui. Così ho iniziato a guardare di più Pirlo e Xavi e a cercare di imparare da loro, che nel calcio hanno fatto cose grandi”. Le cose grandi, adesso, le sta facendo anche lui. E c’è un video in cui i due francesi del Chelsea, Kanté e Zouma, nel ritiro della Francia commentano così il passaggio di uno di loro: “Questo è proprio un passaggio alla Jorginho”: “Mi fa piacere che i ragazzi mi considerino così, il mio gioco è ovviamente basato su questo: sul fare passaggi che aiutino la squadra a rompere lo schieramento delle squadre avversarie. A volte sembra un passaggio banale, invece non lo è perché prepara quello successivo”.

Quale sia stato il segreto che gli ha permesso di essere diventato in tre anni tra i migliori centrocampisti del mondo lo spiega indirettamente con una parola sola: umiltà: “Il merito è di tutte le persone che ho incontrato: certo, anche mio per il lavoro che ho fatto, ma poi di tutti gli allenatori che ho incontrato, da Valigi, Mandorlini, Benitez, Maurizio Sarri. Poi il merito è anche dei miei compagni, ho cercato di imparare da tutti loro, perché c’è da imparare da tutti, bravi e meno bravi, esperti e meno esperti. Io ho osservato tanto e non mi sono mai buttato giù, neanche quando venivo criticato, perché le critiche le ho sempre prese come motivazione. Ho sempre creduto in me stesso. Alla fine è il risultato quello che conta”.

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