Esistono tre modi per evitare i postumi da sbornia: non bere, bere bene, bere ragionato. Funzionano tutte e tre, ma posto che la prima è la meno appetibile e per l’ultima servono anni (e hangover) di esperienza, la seconda è l’opzione migliore. Ma cosa significa bere bene? Qualità, certo. Che riguarda soprattutto il concetto di grado alcolico: più si sale, più deve essere di altissimo livello produttivo. Il paradosso e passaparola sulle labbra di tutti è low alcol. Meno. E meglio, anche. Produzioni elegantissime e di livello maxi, gradazione alcolica minima se non addirittura zero, gusto reale. Nei superalcolici sembra essere la soluzione alla voglia di esperienze diverse, fresche, vivificanti, ma la tendenza low alcol avvolge tutti i campi del bere bene. Nel vino è ancora molto timida – guardata di traverso dalla tradizione enoculturale ben strutturata -, e si traduce nel preferire vinificazioni funky, vitigni recuperati dalla resa alcolica moderata e soprattutto una struttura meno poderosa e dominante. Sin dalla coltivazione in vigna e via via nelle fasi di fermentazione e riposo, si riduce la necessità passaggio in botte e si prediligono acciaio, anfore e cemento, in grado di donare freschezza e bouquet diversi. I vini rossi si alleggeriscono e si prendono una larga fetta di estimatori del bere a temperatura più bassa, i bianchi esplodono di mineralità e sentori di mandorla, i rosati acquisiscono note di fragola acerba beverina. E anche per la birra low alcol, una ricerca di ISWR pubblicata da Pambianco ha evidenziato una crescita di +8,1% nei prossimi 5 anni, traino dell’intero comparto birrario che sceglie formulazioni e aromaticità differenti rispetto a strutture più decise, molto di moda in passato. Perché rintronarsi con drink pesanti quando si può berne tre e stare tranquillamente ancora in piedi? C’è davvero bisogno di bere così tanto quando un cocktail leggero, eseguito a regola d’arte, dà tanta soddisfazione?
Per questo il capitolo cocktail low alcol o no alcol è il più fervido e propositivo di tutti. Per la gioia di chi ha subito per anni succhi di frutta + sciroppo di grantina, ritrovandosi la salivazione azzerata dall’eccesso di zucchero, i mixologist di tutto il mondo hanno cominciato a (ri)dare dignità a chi non ama percentuali alcoliche altissime. Sostenuti dalle aziende produttrici, che hanno intelligentemente fiutato la crescita del trend: Bacardi ha previsto una crescita del low alcol del 400% entro il 2024, riporta IlSole24ore. Cala la gradazione (anche nei gin italiani migliori), i profumi si fanno più lievi, crollano gli zuccheri nelle fermentazioni controllate, si risparmia pure sull’apporto calorico. Oltre, naturalmente, a prestarsi a sperimentazioni divertenti nei campi del food pairing, con l’ingresso di cocktail a base di the, infusi, fermentati lievi sostenuti da superalcolici che di super hanno il sapore, e di alcolico quasi zero. Battezzati mocktail, dall’inglese to mock = prendere in giro, attingono l’ispirazione dai tradizionalissimi drink che hanno fatto la storia di aperitivi e after dinner, ma lavorati in maniera diversa. Nei laboratori dietro i banconi dei bartender la ricerca ha aiutato a mantenere i sapori togliendogli quasi tutta la parte alcolica. Risultato? Cocktail low alcol e light sensation, adatto a tutte le esigenze. Addio mal di testa del giorno dopo: si sceglie consapevolmente di bere più leggero, non è più una costrizione o il dovere del guidatore del gruppo. I virtuosismi non mancano: all’Emporio Armani Ristorante di Milano, Mattia Pastori ha messo a punto l’EA Garden, un cocktail analcolico che ricorda il gin tonic, a base di una bevanda distillata non alcolica ispirata al dry gin, la Garden dell’azienda inglese Seedlip, amatissima per questo genere di sperimentazioni. A Roma ha debuttato al Drink Kong di Patrick Pistolesi Mary, una miscela botanica di aromatiche – basilico, timo, salvia, semi di coriandolo, radice di angelica, aghi di pino e ginepro – estratte singolarmente e poi miscelate in alcol rettificato e acqua distillata: dal gusto secco ma fresco, ha un basso contenuto calorico e appena 6% di volume alcolico. Crescono felicemente anche le linee ready-to-drink low alcol, come quella ideata dal barman e imprenditore Giancarlo Mancino, SeiBellissimi, dedicata migliori cocktail italiani della tradizione aperò: la particolarità è tutti i sei cocktail, a cominciare dal debuttante Bellini, sono declinati in versione alcolica classica e in quella no alcol. All’assaggio la differenza è impercettibile a qualunque papilla gustativa. E il benessere, il godersi il momento, è davvero l’unico obiettivo.