Ci sono figure carismatiche, capaci di attraversare il proprio tempo, di viverlo fino in fondo, dimostrando di essere protagonisti di un cambiamento, incidendo sui singoli eventi e andando a modificare il corso stesso di una storia.
Raffaele Nogaro è così, nella sua semplicità, nella sua umanità, ma anche nella sua fierezza, nella sua saggezza. L’intera comunità casertana ha imparato ad amarlo, a rispettarne le regole, a condividerne i percorsi. Sempre con grande rispetto. Ora che è vescovo emerito continua ad amarlo.
Alessandro Zannini è uno scrittore autentico, immediato nel linguaggio, evocatore di immagini ma anche di moti interiori. Il suo ultimo volume “L’amante di Cristo” è un omaggio a Raffaele Nogaro. È lui, il vescovo dai capelli rossi, a essere l’autentico amante del Dio che si è fatto uomo. Intorno a lui c’è un mondo alla deriva, una società fatta di violenze, sopraffazioni, ma anche di superficialità.
L’impegno di Nogaro è rivolto soprattutto alle nuove generazioni, è un’accusa verso l’incapacità a gestire l’ordinario. E mentre le pagine del libro scorrono veloci, intense, ma non impervie, la mente va continuamente a questo paladino degli umili.
Drammatica e al tempo stesso raffinata è la descrizione che Zannini fa della morte di don Luigi, sacerdote assassinato dalla camorra, riferimento palese e voluto a don Peppe Diana, ucciso dalla malavita organizzata.
Oscilla “L’amante di Cristo” tra realtà e finzione, tra verità vissute e verità romanzate, tra cronaca e storia. Oscilla tra un certo pessimismo della ragione e la speranza della fede.
In realtà, è la figura stessa di Raffaele Nogaro a essere monito per le nefandezze umane e al tempo stesso riferimento irrinunciabile per una ricostruzione del territorio, per un riscatto umano e sociale. È questo il senso della vita.