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Romanzo breve sul gelato alla stracciatella, che 60 anni fa aprì la strada al croccante

 

 

Questa è una storia d’amore. L’ennesima nella lunga e ramificata storia culturale della gastronomia italiana, dove i romanzi sentimentali sono le tensostrutture solide della creatività culinaria di chef, gourmand, appassionati e curiosi. Cosa accomuna un piatto di minestra bollente al gelato? Niente, sulla carta. Eppure basta un nome di battesimo per riunificare di colpo l’Italia mettendo insieme la tradizione golosa del centro e l’impenetrabile fucina lavorativa del Nord. Stracciatella. Una coccola che si rivela all’ultima sillaba dietro la stratificazione rigida e aggressiva delle consonanti iniziali. Quello che si straccia, per un pasticciere è un problema serissimo di preparazione, un errore di calcolo nell’equilibrio fragile delle proporzioni. Per un curioso come Enrico Panattoni, emigrato da Altopascio in provincia di Lucca verso le brume luminose di Bergamo Alta negli anni Quaranta, tra guerra e conta delle macerie, è stata l’intuizione felice di una vita. La storia del gelato alla stracciatella non comincia con quell’errore di calcolo, di dimenticanza o di troppa fretta. Ma con la coscienza delle leggi chimiche della cucina nel creare un gioco di texture pericolosamente seducente, molto prima che si cominciasse a filosofeggiare sulle consistenze dei cibi, originale, divertente e rivoluzionario. D’altronde la stracciatella è il primo gusto di gelato a deviare dalla cremosità assoluta che carezza la lingua per introdurre un elemento inaspettato, croquant, completamente dirompente con la pur giovanissima tradizione. Nel 1961, Enrico Panattoni è proprietario della bottega La Marianna a Bergamo, assieme alla moglie Oriana, dove prepara un commovente fiore del latte, gelato di panna purissimo. Gli affari vanno bene ma l’irrequietezza è il motore del mondo, e il signor Panattoni non vuole sedersi sulle nuvole soffici del suo gelato migliore. Quindi ha un’idea: giocare con lo shock termico colando del cioccolato fondente caldo nel mantecatore dove gira quieto il suo celebre fiordilatte. Il risultato è sotto gli occhi e le papille di tutti: i croccanti rilievi di cioccolato, solidificati dal freddo e spezzettati irregolarmente dalle pale del mantecatore, arricchiscono la candida bontà del principe base dei gelati. Il successo è strepitosamente proporzionale alla sua golosità, non si può resistere alla ricchezza insita del cioccolato fondente, all’inusuale novità di un elemento così alternativo all’interno di un classico come il gelato al fiordilatte. Ora bisogna solo battezzare questa intuizione clamorosa. Il pensiero laterale di Enrico Panattoni interpreta la stracciata del cioccolato caldo dentro il gelato freddo in controluce, e trova un equivalente nel piatto più comune di quei tempi, il più distante in termini di somiglianze: una minestra calda, favoloso ricostituente e simbolo di benessere. Un brodo bollente in cui vengono tuffate delle uova sbattute, che a contatto col calore si rapprendono in morbide bolle di proteine nobili: a Roma, dove è di consumo comune, si chiama stracciatella. La sua origine e preparazione sono state codificate da Pellegrino Artusi, ed è diventato un piatto amatissimo in molte famiglie di tutta Italia. Per Panattoni è il segnale onomastico atteso. E glorifica una speciale unità d’Italia fondendo la sua origine toscana con un battesimo romano nella città dove ha fatto fortuna, Bergamo. La sua creazione, che nasce come la minestra dalle diverse temperature degli ingredienti, prende il nome di gelato alla stracciatella, poi universalizzato semplicemente in stracciatella. Nel corso del tempo il gusto del gelato ha soppiantato il piatto caldo, ormai sopravvissuto solo in rare occasioni famigliari di conforto nostalgico. La stracciatella gelato invece continua la sua strada di sfida e personalità rinnovando la sua essenza: il primo gelato in assoluto che obbliga a mordere la morbidezza.

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