“Si proprio ‘nu babbà”: miei cari lettori, se sentite dirvi questa frase da un napoletano, sappiate che vi sta facendo un grande complimento. Il babà o per scriverlo alla napoletana il “babbà” è per i napoletani praticamente un dolce sacro, un’istituzione che rappresenta proprio la napoletanità, con tutte le sue contraddizioni, un vanto di cui andare fieri.
Né troppo asciutto, né troppo bagnato, né molle, né duro, né troppo dolce, né troppo aromatico: raggiungere il risultato perfetto è una questione di equilibri.
Il colore deve essere dorato, ambrato quasi. Questa tonalità è data dalla bagna a base di rum che gli dona anche un profumo speciale. Anche se è vero che la bagna è un elemento fondamentale di questo piccolo funghetto (la forma richiama proprio un fungo ma sembra che sia ispirata alle cupole della basilica di Santa Sofia), diffidate da quelli troppo inzuppati, che vi bagnano completamente la bocca al primo morso; spesso questa abbondanza nasconde un dolce che non è un granché.
Lo sapevate che uno dei dolci-simbolo della cucina partenopea arriva in realtà dal freddo Nord della Francia? È la storia del babà , un dolce che – come nota il gastronomo Luciano Pignataro – già dal nome tondo e musicale rispecchia il suo sapore pieno e corposo, miracolo di armonia tra influenze contrastanti, al punto da entrare nel gergo partenopeo con quel “si nu’ babbà” che vuol dire, appunto, “sei un tesoro”. Un tesoro di gusto né troppo asciutto né troppo bagnato, né troppo dolce, né troppo aromatico.
Ma cominciamo dall’inizio. Perché il babà non fu inventato né all’ombra del Vesuvio, né a Posillipo. La sua storia, parte dalla Polonia.
L’inventore del famosissimo Babà è infatti il re, o meglio lo zar di Polonia Stanislas Leczynski. Si racconta che amasse moltissimo i dolci ma, non avendo denti, non poteva mangiare quelli troppo duri. Fu così che inventò questo dolce da ammorbidire nello sciroppo.
Secondo un’altra versione della storia, il babbà nacque perché il re, che aveva un pessimo carattere, lanciò il dolce contro un mobile. Qui si ruppe una bottiglia di rum, che inzuppò il dolce. Il re lo assaggiò e lo trovò ottimo.
Dalla corte del sovrano il Babà venne esportato poi in Francia, a Parigi. Qui il dolce inizia ad avere la sua tipica forma a fungo, grazie al pasticciere Nicolas Stohrer. Un’altra versione della storia vuole che la forma ricordasse al re le gonne tonde delle donne anziane, chiamate in polacco babka. Da qui deriverebbe il nome del Babbà.
E Napoli? Quando arriva Napoli? Ora ci arriviamo. Perché il successore di Luigi XV è Luigi XVI, lo sfortunato e debole re ghigliottinato durante la Rivoluzione. La sua consorte, Maria Antonietta, aveva una sorella prediletta: Maria Carolina d’Austria, moglie del vulcanico re di Napoli Ferdinando IV di Borbone. La regina portò nella Napoli di fine ‘700 gattò, besciamella, gratin e sciù, e di certo la moda continuò sotto il regno di Gioacchino Murat. Già nel 1836 il babà appare come dolce tipico napoletano nel primo manuale di cucina italiana scritto da Vincenzo Agnoletti per un’altra sovrana “francese” in terra italiana, Maria Luigia di Parma. Non a caso, in quegli anni, fu proprio l’Agnoletti ad inventare a Parma un altro celebre dolce italiano, che inizialmente prevedeva il rum: la zuppa inglese. A fine ‘800, il babà diventerà il borghese dolce da passeggio della Napoli bene. Uno street food di classe giunto intatto fino a noi. Un destino impensabile e che, di sicuro sarebbe piaciuto al re filosofo che lo inventò.
Adesso, vediamo come preparare un ottimo Babà. Ringrazio la cara Tiziana Bartiromo, amica napoletana e profonda conoscitrice della pasticceria partenopea.
Ingredienti della pasta: 250 gr. di farina 00, 100 gr. di burro, 100 gr. di zucchero, 4 uova, 20 gr. di lievito di birra, 4 gr. di sale fino.
Ingredienti dello sciroppo al rum: 500 ml. di acqua, 160 gr. di zucchero, 150 ml. di rum.
Per ungere: 50 gr. di burro.
Preparazione: sciogliere il lievito di birra in 3 cucchiai di acqua tiepida e amalgamare con un terzo della farina. Lavorare bene l’impasto a mano e renderlo liscio, quindi porlo in un piatto a lievitare per 30 minuti, ricoperto da un panno pulito. Quando si gonfia, porlo in una ciotola concava e aggiungere le uova, il burro, mantenuto a temperatura ambiente, e amalgamare con le dita. Aggiungere la restante farina, lo zucchero e il sale. Ottenuto un impasto morbido, sbatterlo più volte nel modo seguente: prenderlo tra le dita, sollevarlo e sbatterlo nella stessa ciotola fino a quando presenterà delle bolle di aria. Lasciarlo lievitare ancora per 40 minuti. Quando avrà raddoppiato di volume, disporlo nello stampo del babà o del savarin (per dargli la forma a ciambella) ben unto di burro. Far lievitare ancora per una ventina di minuti. Preriscaldare il forno a 180° e infornare per 30 minuti. Lasciare raffreddare. Nel frattempo far bollire l’acqua con lo zucchero per una ventina di minuti e aggiungere il rum. Bagnare il babà ripetutamente fino a quando il dolce assorbirà tutto lo sciroppo. Lasciar riposare il babà 2 ore in frigo prima di consumarlo.