di Luca Bifulco
Ci sono tante angolature da cui osservare e afferrare il mondo del calcio. Da un lato c’è il campo di gioco, con i suoi attori, le tattiche contrapposte delle squadre e quel complesso insieme di interdipendenze che porta al risultato finale di una partita o alla classifica conclusiva di un campionato. C’è poi almeno la possibilità di una prospettiva ulteriore, vale a dire uno sguardo socio-economico che ci aiuti a comprendere, sulla scorta di alcuni dati o evidenze disponibili, le caratteristiche e le trasformazioni di questo sport, specie nell’area europea contemporanea.
Le suggestioni in tal senso sono molteplici, così come gli ambiti d’indagine. In tale sede ci soffermeremo solo su alcuni aspetti, ed in modo sintetico, nella speranza di poter fornire un ausilio utile a chiunque voglia arricchire di ulteriori contenuti la propria passione, le proprie valutazioni, i propri giudizi sulla squadra del cuore o sull’andamento dei vari tornei seguiti.
Dando uno sguardo a quello che è avvenuto, dagli anni ’90 in poi, ad esempio in Serie A, in Premier League o in Champions League, due aspetti emergono subito all’attenzione (tra i tanti studi a disposizione rimandiamo, per un confronto e per controllare i dati empirici, a quelli – spesso non tradotti in italiano – di Jonathan Hill, Stefan Szymanski o Branko Milanovic).
Prima, però, urge una premessa: perché i risultati siano attendibili e indicativi, le analisi devono qui essere elaborate nel lungo periodo, prendendo in considerazione un numero congruo di stagioni. In una singola stagione, infatti, un club può anche andare oltre le sue possibilità, raggiungendo posizioni di classifica inaspettate, così come ad un club di spessore può capitare qualche annata disastrosa o semplicemente al di sotto delle aspettative. Nel lungo periodo, invece, il destino di una squadra è largamente più prevedibile.
Ebbene, tornando alle competizioni di cui parlavamo, ecco ciò che emerge negli ultimi decenni: 1) nei campionati nazionali il numero di squadre diverse che alla fine tendono a classificarsi nelle migliori posizioni si è sostanzialmente ridotto, e lo stesso vale per il numero – più circoscritto – di club differenti che raggiungono i quarti di finale di Champions League. Più o meno i soliti noti, con sorprese meno frequenti rispetto ad altre epoche, naturalmente al netto dell’avvento di sceicchi o magnati esteri; 2) nel lungo periodo, le classifiche dei tornei sono praticamente speculari non semplicemente al fatturato, quanto alle spese correnti dei club, in particolar modo agli stipendi dei calciatori. Detto in modo più agevole, più si spende per il monte ingaggi, e non tanto nel mercato dei calciatori o per altri capitoli di spesa, più si vince. Le eccezioni sono rare e, soprattutto, hanno una durata limitata, possono sopravvivere il tempo di un paio di stagioni al massimo.
Benché la valutazione di mercato di un calciatore in un dato anno sia spesso influenzata anche da fattori diversi dal talento – come il profilo mediatico, ad esempio – è facile comprendere, volendo aiutati dal senso comune se non con uno sguardo d’insieme più attento e prolungato nel tempo, come i giocatori di maggior rendimento finiscano per andare prima o poi nei club che gli garantiscono contratti più munifici. E quel fortunato atleta che riesce a strappare un contratto al di sopra delle sue effettive capacità dovrà in seguito verosimilmente accontentarsi, pur se assistito da un buon procuratore, di remunerazioni meno redditizie. Non lasciamoci ingannare dalle capacità contrattuali dei top player, il mondo del calcio è in tal senso molto più ampio e diversificato.
Considerando la deregolamentazione del mercato contemporaneo, che è il fattore cruciale al giorno d’oggi, è facile notare come in un numero limitato di club europei si concentri la maggior parte dei calciatori di maggior spessore internazionale. Lo stesso discorso si può fare valutando i singoli tornei nazionali. Il dislivello nel monte ingaggi tra i club si è ampliato molto – in virtù dei diversi fatturati, ovviamente.
Difficilmente, insomma, vedremo a breve scadenza una Serie A vinta in stagioni ravvicinate, oltre che dai soliti team, anche da Verona, Sampdoria o da altre squadre non di primissima fascia. Sia ben chiaro, in ogni competizione, nazionale o internazionale, squadre che hanno spadroneggiato sulla base soprattutto di capacità economiche più elevate ci sono sempre state. Ribadiamo: quello che ora sembra più evidente, però, è la sproporzione economica sempre crescente, la maggiore concentrazione dei giocatori più validi – specie stranieri – in poche squadre e l’assoluta tirannia della voce stipendiale nella definizione delle classifiche dei campionati nel loro complesso, al di là del mero vincitore. Ciò al netto di exploit estemporanei di club di seconda fascia – molto meno consueti oggi – o dell’ingresso di nuovi capitali stranieri.
Quindi, se vogliamo alimentare le aspettative sull’andamento della nostra squadra del cuore, se ci va di criticare un mercato dei calciatori che ci sembra non all’altezza o se vogliamo capire quello che il nostro club può prometterci, dobbiamo più che altro controllare avidamente quanto riesce a pagare in stipendi per i calciatori. È la variabile più significativa ed è la misura più valida con cui giudicare. Anche avere un avanzo di cassa da investire nel mercato può essere un indicatore fuorviante, se poi le spese correnti diventano insostenibili.
Certo, ci può piacere o dispiacere l’acquisto di un calciatore che magari riteniamo più o meno valido, o possiamo trovare spiacevoli i proclami euforici e colmi di eccessive promesse di un nostro dirigente se poi non sono supportati dall’arrivo di grandi giocatori. Però, se vogliamo che il nostro club sia sempre ai vertici, e per lungo tempo, dobbiamo più che altro sperare che il suo fatturato, composto in larga parte da diritti tv, merchandising e vendita dei biglietti (oltre che dalla risultante della compravendita dei calciatori), aumenti sempre di più, in modo che ci si possa permettere stipendi concorrenziali e di massimo onere. Se il nostro club fattura decisamente meno dei rivali, si può, piuttosto, sperare che l’abilità dei dirigenti lo mantenga stabilmente nelle fasce del campionato che contano per riuscire a indovinare qualche annata giusta o fortunata.
Naturalmente il quadro si complica quando ragioniamo sugli indebitamenti dei club, sulla reale incidenza del fair play finanziario o su operazioni di mercato (specie in Sud America) che possono nascondere pagamenti in nero o forme sottili di evasione fiscale. Ma, al di là di questi e di altri fattori molto controversi, il ragionamento proposto, alla luce dei riscontri empirici, mantiene una sua decisa coerenza.
Un’ultima considerazione: quali sono state le cause principali che hanno generato il corso attuale del calcio europeo? Dato lo spazio limitato a nostra disposizione, non è possibile approfondirle compiutamente in tale sede. Rimandiamo, per una disamina socio-storica più compiuta, ad alcuni dei contenuti del libro scritto da me e da Francesco Pirone (L. Bifulco, F. Pirone, A tutto campo. Il calcio da una prospettiva sociologica, Guida, 2014 – collana We Care, diretta da Samuele Ciambriello). Ad ogni buon conto, in estrema sintesi, il calcio continentale contemporaneo ha subito l’influenza di tre grandi fattori: la sentenza Bosman del 1995, che ha deregolamentato il mercato dei calciatori liberando la circolazione degli atleti europei e togliendo limiti al tesseramento di stranieri, specie se comunitari; l’avvento delle pay-tv con il loro ingente gettito economico; la modifica dei format dei tornei europei (Champions ed Europa League) al fine di renderli più redditizi e di agevolare la partecipazione continua dei club più importanti.
Trasformazioni non pacifiche, giocate su un’arena conflittuale che ha visto contrapporsi i club, le Federazioni, la Fifa, l’Uefa, la Comunità Europea, i consorzi di calciatori e gli agenti. Come abbiamo in parte già visto, il risultato finale è stato, sostanzialmente, una polarizzazione dei rapporti di forza nel calcio, in funzione della pura logica di mercato. Mercati e campionati sono dominati dai club più ricchi e la forbice con le società meno blasonate, in termini di potenzialità economiche e dunque di rendimento sportivo, è aumentata. Outsider significativi sono molto più sporadici che in passato. Allo stesso modo, si è incrementato a dismisura il gap tra i redditi dei calciatori più importanti e quelli dei meno fortunati, specie se consideriamo gli atleti delle serie minori.
Tendenze che, in fondo, non sembrano poi tanto atipiche nel panorama economico complessivo contemporaneo.