“Il presidente è un sostenitore della libertà di parola e della stampa“: così la portavoce della Casa Bianca, Jennifer Psaki, si è limitata a rispondere a chi gli chiedeva se Joe Biden fosse disposto a concedere la grazia al fondatore di Wikileaks Julian Assange, che potrebbe presto essere estradato negli Usa dove rischia una pena pesantissima con l’accusa di spionaggio.
Assange, senza muoversi dal supercarcere londinese di Belmarsh dove è rinchiuso, oggi ha compiuto contro la sua volontà un grande passo virtuale verso la scaletta di un aereo pronto a estradarlo negli Usa per scontare un’indefinita pena detentiva per spionaggio.
La sua consegna da parte della Gran Bretagna alle autorità americane, oggi uscite vittoriose dalle Royal Courts of Justice di Londra, è infatti molto più vicina.
Due giudici dell’Alta corte hanno ribaltato la sentenza di primo grado emessa lo scorso gennaio, che negava l’estradizione del fondatore di WikiLeaks, accogliendo quindi il ricorso del team legale di Washington. Stando al loro verdetto, bastano le rassicurazioni degli Usa emerse nel processo di appello sul trattamento della ex primula rossa una volta estradato per evitare un temuto suicidio. Lord Burnett, uno dei magistrati, ha infatti dichiarato: “Questo rischio è a nostro giudizio escluso dalle rassicurazioni che vengono offerte“.
La giudice di primo grado, Vanessa Baraister, aveva opposto il suo no alla consegna, sulla base di una perizia medica che ipotizzava per Assange il rischio di togliersi la vita: date le sue condizioni psico-fisiche e il trattamento giudiziario e carcerario a cui potrebbe andare incontro. Le garanzie messe sul piatto da Washington comprendono l’impegno a non sottoporre l’attivista a “misure speciali” come l’isolamento, evitare che sia rinchiuso in una struttura di massima sicurezza, e che possa chiedere, se condannato (come appare scontato), di essere trasferito in una prigione nella nativa Australia.
Ma la sentenza ha scatenato rabbia e proteste, anche a livello internazionale. Sono partite dalle parole pronunciate a caldo da Stella Moris, compagna di Assange e membro del suo team legale, mentre intorno c’erano diversi sostenitori e attivisti: “E’ stato vergognoso e cinico prendere una decisione come questa nella giornata mondiale dei diritti umani“. Oltre a una serie di accuse lanciate contro il Regno Unito che si piegherebbe alla volontà degli Stati Uniti, da oltre dieci anni alla ricerca di un modo per incastrare Assange, Moris ha aggiunto che la battaglia legale per Julian non si ferma qui. “Al più presto possibile” verrà presentato un ricorso alla Corte suprema, il tribunale di ultima istanza del Regno.
L’invito a tutti i sostenitori di WikiLeaks e della stampa libera, ha aggiunto, è quello di “lottare” per l’uomo che tramite il sito da lui fondato ha svelato una montagna di documenti segreti, inclusi file del Pentagono su presunti crimini di guerra commessi dagli Usa in Afghanistan e Iraq. “Come può essere possibile estradare Julian nello stesso Paese che ha complottato per ucciderlo?“, ha chiesto ancora Moris riferendosi alle voci su un presunto piano della Cia risalente al 2017. Oltre alle sue parole si sono scatenate altre reazioni di condanna, da quelle di Amnesty International, che ha parlato di “giustizia farsa”, fino a Mosca. “Si tratta di un vergognoso verdetto nell’ambito di un caso politico contro un giornalista e attivista pubblico. E’ un’altra manifestazione di una visione del mondo cannibale del tandem anglosassone“, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova.
Adesso si avvicina il momento decisivo del caso Assange, iniziato nel 2010 con i file top secret delle autorità Usa diffusi da WikiLeaks attraverso alcune delle più prestigiose testate giornalistiche al mondo e proseguito con il lungo periodo trascorso dall’attivista come rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e la caduta delle controverse accuse parallele di stupro sollevate contro di lui in Svezia. Destino che sembra per certi versi segnato e porta verso una prigione a stelle e strisce o, nella migliore delle ipotesi, australiana, nonostante il tentativo di opporsi al verdetto di oggi.
Le prossime mosse spettano alla giustizia britannica, l’ultima parola alla ministra degli Interni, Priti Patel, nota per la linea dura nei dossier che le competono. Le accuse che Assange deve affrontare comportano una pena monstre fino a 175 anni di carcere, ma i legali degli Stati Uniti hanno detto che la punizione più lunga mai comminata per casi simili è stata di cinque anni e tre mesi, sebbene non sia proprio semplice trovare un precedente storico di tale portata.(ANSA)