«Dopo l’impegno profuso per tanti anni, insieme a personalità della cultura nazionale e internazionale, speso nella speranza di determinare un riuso che rispondesse adeguatamente alla riconosciuta eccezionalità storica, sociale e architettonica che il borgo di San Leucio e il suo Belvedere rappresentano, non ci possiamo arrendere». Inizia così il documento denuncia di un gruppo di cittadini tra intellettuali, professionisti, gente comune che hanno deciso di metterci la firma per difendere uno dei monumenti più belli d’Italia e del mondo, ovvero il Belvedere di San Leucio. E’ questo il complesso monumentale voluto da Carlo di Borbone, re di Napoli e Sicilia, che è classificato, insieme con il Palazzo Reale e l’Acquedotto carolino, patrimonio dell’umanità dall’Unesco. L’utopia di Re Ferdinando di dar vita a una comunità autonoma, chiamata appunto Ferdinandopoli, lascia a Caserta il Belvedere di San Leucio, i suoi appartamenti reali, il giardino all’italiana e l’annesso Museo della Seta, che conserva i macchinari del Settecento, con i quali si tesseva la seta diventata famosa in tutto il mondo, tanto da arrivare ad arredare la Casa Bianca, a Buckingham Palace e al Palazzo del Quirinale. Ecco perché i fautori del documento gridano ad alta voce: «Non ci possiamo rassegnare!».
E loro certo non si rassegnano all’impossibilità di vedere una dignitosa soluzione al problema di un adeguato riuso culturale e produttivo del Belvedere e una qualsivoglia iniziativa di tutela del paesaggio e della struttura urbanistica del sito borbonico, cui fa riscontro, invece, l’insorgere di seri motivi di preoccupazione. Emergono, infatti, forti tentazioni di smembrare l’unitarietà dell’esperienza leuciana, continuando l’azione di svilimento dei suoi significati culturali, con il rischio, sempre incombente, di dare spazio alla vocazione speculativa che esprime questa città e che potrebbe trovare, a breve, nella redazione del Puc la sua concretizzazione. Né si possono rassegnare alle «dichiarazioni dell’amministrazione che giudica come arretratezza dei leuciani il considerare un valore la cultura dell’illuminismo borbonico, lasciando intendere che la visione del futuro di San Leucio deve essere fondata su turisti armati di frittate di maccheroni e bottiglie di birra». E ancora lanciano un allarme «al rischio, già dichiarato, che l’Unesco ritiri l’impegno a conservare San Leucio nella lista del Patrimonio Mondiale Culturale e Naturale, perdurando l’incapacità di tener conto dei valori di rilevanza internazionale che lo hanno motivato, che comprendono l’ambiente, il paesaggio e gli aspetti sociali del sito e considerano, in sintesi, l’ambiente come il “valore globale da rispettare”, ampliando il semplice e tradizionale concetto di luogo di conservazione della cultura storica, e che individuano nell’archeologia industriale, l’elemento di caratterizzazione specifica».
È significativo certo che parta da San Leucio la spinta a fermare il degrado, promuovendo un intervento su quanto si va prefigurando per il Belvedere e per tutto il territorio leuciano, e che questa spinta incontri associazioni, partiti, singoli cittadini, personalità della cultura e delle professioni, per condividere e sottoscrivere la volontà di non rassegnarsi e portare un «contributo che consenta di evitare a questa città almeno la bancarotta culturale, nulla ormai potendo sul piano del fallimento economico».