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Commissione Juncker, chi conta e chi no

Nella nuova Commissione europea, quella presieduta da Jean-Claude Juncker, c’è un po’ di tutto: riformisti, liberali, radicali, uomini, donne, di qualunque Paese membro dell’Unione. Come nella precedente Barroso II. Ma anche in questo caso, le posizioni politiche sono piuttosto, per così dire, marcate. Vale a dire che anche questa Commissione sarà, se i candidati dovessero essere confermati, più schierata a destra che a sinistra. Del resto, il Presidente stesso si riconosce nel cristiano-democratico Partito Popolare Europeo, il partito con il maggior numero di seggi all’Europarlamento.

La novità più significativa può ben essere considerata l’introduzione di sette Vicepresidenti, con annessa carica di commissario, tra i quali l’italiana Federica Mogherini in qualità di nuova Lady PESC. Primo Vicepresidente è l’olandese Frans Timmermans, nominato anche Commissario europeo per la migliore legislazione, le relazioni interistituzionali, lo stato di diritto e la carta dei diritti fondamentali. Socialdemocratico di Maastricht, parla fluentemente l’italiano (tra le altre lingue), e già viene considerato da tutti come il braccio destro di Juncker. Non va dimenticato che Timmermans si è sempre detto sostenitore di un’Europa forte e coesa ma che non vada ad intaccare i poteri nazionali, evitando che sia Bruxelles a prendere tutte le decisioni. E probabilmente, anche Parigi e Berlino. Sorprende un po’, infatti, che tra i Vicepresidenti designati non ci sia nessuno che provenga dai due pezzi grossi dell’UE. Certo, Francia e Germania non sono rimaste completamente a bocca asciutta, ma se pensate che al parigino Pierre Moscovici sia stato affidato un incarico di primo piano con gli Affari economici e monetari, sappiate che dovrà agire sotto la supervisione dell’ex primo ministro lettone Valdis Dombrovskis, e di Jyrki Katainen, l’ex primo ministro finlandese nominato nel 2008 dal Financial Times come il miglior ministro delle finanze europeo, e che nella commissione Juncker avrà il compito di coordinare i principali portafogli economici. Senza contare che, come gli altri Vicepresidenti, avranno anch’essi potere di veto e la facoltà di bloccare l’iniziativa legislativa, perché «la commissione deve funzionare come una squadra ben organizzata». E se magari ha l’occasione di impedire ai due colossi europei di prendere troppe iniziative, ben venga pure quello.

Rimane in commissione il tedesco Gunther Oettinger, stavolta come Commissario europeo per l’economia digitale e la società; altro sostenitore, questi, di una politica economica rigida e severa, lui che voleva che i Paesi dell’Unione con un eccessivo deficit di bilancio pubblico esponessero a mezz’asta le loro bandiere. Con questi nomi qui, c’è da credere che Matteo Renzi, e con lui altri come Pedro Sanchez, possa dire addio alla sua idea di flessibilità, e rassegnarsi finalmente all’austerity.

Si potrebbe inoltre aggiungere che, con Elżbieta Bieńkowska per il mercato interno, l’industria, l’imprenditoria e la piccola e media impresa, la Polonia abbia adesso un altro nome importante in campo, accanto a quello del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Anche l’Italia, adesso, non è da meno, essendo alla presidenza del Consiglio dei ministri europei, ma quando tra tre mesi cederà la poltrona alla Lettonia, non ci resterà che la Mogherini come Alto rappresentante per gli affari esteri, da molti ritenuta una carica puramente “ornamentale”, che eredita per giunta tutte le polemiche e i pregiudizi legati a Catherine Ashton. Scommettiamo che, invece, sentiremo prossimamente la Polonia alzare la voce contro Mosca e i suoi tagli alle forniture di gas e, chissà, forse anche a favore di nuove sanzioni alla Russia?

 

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