Beppe Battaglia scrive una lettera aperta al Garante dei detenuti in Campania, Samuele Ciambriello. Ecco di seguito il contenuto dello scritto:
“Caro Samuele,
in un tuo articolo pubblicato da Ristretti qualche giorno fa tu metti in evidenza alcuni dati riferiti alla detenzione in Campania. Uno di questi dati ha attirato la mia attenzione. Riguarda il numero delle persone rinchiuse nelle carceri della tua Regione ed il numero delle persone, che tu definisci diversamente liberi, in esecuzione penale esterna e in misura cautelare alternativa al carcere.
Questi due dati sono quasi uguali: 6.403 in carcere e 6.882 fuori dal carcere. In verità, mi pare di capire, questi due dati riflettono -poco più, poco meno- i dati nazionali: 54000 detenuti in carcere per 64000 (questo dato è in parte stimato perchè riguarda i flussi delle misure cautelari sempre variabili) ristretti ma fuori dal carcere.
Questo dato della Campania ristretta mi ha ricordato un piccolo saggio che alcuni anni fa mi aveva mandato un mio amico ex direttore di carcere. Riguardava la costosissima stravaganza del corpo della polizia penitenziaria. In realtà lui sosteneva (ed io sono d’accordo con lui) che dell’esecuzione penale avrebbe dovuto occuparsene la Comunità coi suoi servizi territoriali, piuttosto che un corpo di polizia all’interno delle carceri.
E mi vengono anche in mente, quando si parla di abolizione del carcere, quelli che dicono “e come si fa?”. In verità, il “come si fa” ce l’abbiamo sotto gli occhi.
I tuoi 6.882 ristretti fuori dal carcere sono gestiti dai servizi territoriali con costi molto contenuti e con risultati apprezzabili (in termini di recidiva) universalmente riconosciuti. Di più. La gran parte di essi lavora e paga le tasse, produce ricchezza per questo dannatissimo paese. La polizia con loro c’entra solo per qualche controllo simbolico, ma in nessun caso la polizia gestisce queste persone.
Viceversa, i tuoi 6.403 ristretti dentro le carceri sono gestiti da un corpo di polizia (il cui stipendio, checchè se ne dica, è superiore a quello di un metalmeccanico) ed altro personale penitenziario con un costo che supera ogni anno i tre miliardi e mezzo di euro e con un esito assolutamente, invariabilmente fallimentare su tutti i piani! Un fallimento che non è una mia opinione, sono numeri che tutti riconoscono!
E non si dica che quelli “ristretti fuori dal carcere” scontano condanne lievi o per reati non particolarmente gravi. Ci sono ergastolani in semilibertà o in condizionale e ci sono reati gravissimi in capo ai colletti bianchi agli arresti domiciliari e ora anche in probation.
Viceversa, un terzo della popolazione detenuta in carcere sconta condanne relativamente brevi per reati connessi allo stato di dipendenza da sostanze. Approssimativamente parliamo di 20.000 persone.
Un altro terzo (approssimativamente) della popolazione detenuta riguarda persone migranti, con imputazioni e condanne legate alla condizione propria di chi ha cercato rifugio dopo essere scappato da condizioni di guerra o di miseria. Due categorie (tossicodipendenti e migranti) che non sono professionisti del crimine e comunque con condanne o imputazioni relativamente di basso livello. Parliamo di quarantamila persone, alle quali il carcere aggrava loro la condizione materiale di esistenza. Al netto degli illusionismi che ormai accompagnano il carcere e la sua funzione.
Sintetizzando: nella Regione Campania sono 6.403 le persone rinchiuse in carcere gestite da un corpo di polizia. E 6.882 persone imputate e/o condannate gestite dai servizi territoriali. I costi di entrambe le situazioni non sono neppure paragonabili e pure l’esito delle due gestioni è radicalmente opposto.
Dopo i fatti di Santa Martia Capua Vetere (che in verità sono sempre successi nelle carceri. Solo che a Santa Maria, forti del pensiero dell’impunità, non si sono curati o non sono stati capaci di spegnere tutte le telecamere. Così come i messaggi telefonici tra di loro dicono molto di più delle telecamere), sentiamo rumori non più di “mele marce” (una delle tante ipocrisie che accompagnano da sempre il carcere) quanto invece di “formazione professionale”.
Ma che “formazione” può mai avere un corpo di polizia? La polizia è concepita, tutti i corpi di polizia e dappertutto, per menare, reprimere, obbligare, vessare, punire, annientare. Esattamente quello che abbiamo visto a Santa Maria! E prima di Santa Maria in tanti altri posti che non cito per pietà.
D’altra parte, io penso che non si tratta di bontà o di cattiveria (e trascuro completamente l’idea della “formazione” che vorrebbe fare di un poliziotto penitenziario un assistente sociale). Il dispositivo che è scattato a Santa Maria (e prima ancora in tantissimi altri carceri) è il meccanismo proprio dell’istituzione totale. Quelle stesse cose succedevano anche nei manicomi e, non di rado, succedono nei ricoveri per persone anziane, persino in alcune comunità chiuse per tossicodipendenti.
Se ai dispositivi propri dell’istituzione totale (dominio totale e incontrollato) aggiungiamo i dispositivi che regolano (?) i corpi di polizia, forse è tempo di capire che il carcere e la polizia penitenziaria hanno fatto la loro epoca e che restano in piedi solo per cialtroneria, per consuetudine, per clientelismo, per comodità, ma la storia non sa più che farsene di loro.
O meglio, possono gli uni e gli altri trascinarsi stancamente, tra una mattanza e l’altra, in un mare petulante di ipocrisia ma essi (il carcere e i poliziotti penitenziari) non riusciranno mai a produrre risultati diversi da quelli visti a Santa Maria, né tanto meno avvicinarsi vagamente al dettato costituzionale in materia di esecuzione penale. Il carcere è e resta disumano in ogni caso! E un corpo di polizia (aveva ragione il mio amico ex direttore penitenziario) sta al recupero delle persone come il piromane sta al pompiere!
La polizia penitenziaria non può essere “formata” diversamente e il carcere non è fatto per rieducare alla responsabilità, l’una e l’altro sono grumi di bugie e di violenza arbitraria ormai fuori dal tempo!
Caro Samuele, tutto questo è compendiato nelle due cifre che hai fornito. D’altra parte, non è a caso che in tutta la nostra Carta Costituzionale la parola “carcere” non ricorre mai. Liberarsi del carcere (e della polizia penitenziaria) è possibile qui e ora, lo dimostra l’esecuzione penale esterna con i suoi irrisori costi (rispetto ai costi del carcere) e con i suoi risultati in termini di sicurezza sociale.
In breve: il carcere abbruttisce le persone recando un danno sicuro alla collettività giacchè dal carcere la gran parte delle persone escono a fine pena (al netto delle mattanze, e dei suicidi); l’esecuzione penale esterna al carcere produce responsabilità e inserimento sociale vero, quindi fa gli interessi veri della Comunità reale. Come dire: il carcere nuoce gravemente alla salute delle persone libere!“.