A giorni la Scozia voterà per decidere se continuare a far parte della Gran Bretagna oppure no. La Catalogna, da parte sua, potrebbe spezzare il legame che l’unisce al resto della Spagna. Il Belgio rischia di spaccarsi in due, forse anche in tre parti. Nel Vecchio Mondo tira aria d’indipendenza, e non parliamo soltanto dell’Ucraina. Un po’ dovunque c’è una minoranza, un’etnia, o una regione intera che sogna di spiegare le ali per conto proprio e librarsi verso l’agognata indipendenza. Ci sono richieste di autonomia sollevate da tempo e alle quali nessuno (o quasi) attribuisce mai molta importanza, altre notoriamente discusse e ribadite ma che non sono tate giuridicamente formalizzate (basterà citare la Lega Nord in Italia come esempio), ed altre ancora che potrebbero a breve trasformarsi in una nuova, e destabilizzante, realtà.
Sorprende il fatto che a far parlare di secessionismo e scarso nazionalismo siano i Paesi tradizionalmente considerati più forti, quelli occidentali. E per quanto ciascun movimento abbia le sue richieste, una storia e delle ragioni proprie, le cause delle eventuali separazioni potrebbero farsi sentire ovunque.
Partiamo dalla Scozia, la prima a votare, il prossimo 18 settembre, al referendum che ne deciderà le sorti in fatto di sovranità. Che cosa potrebbe succedere se a vincere fossero i sì? È chiaro che trecento anni non sono bastati agli scozzesi per assimilarsi completamente ai vicini inglesi, e le differenze tra i due, in tal caso, potrebbero emergere prepotentemente. Si parla già del cambio di bandiera e del nuovo titolo della Regina, ma le conseguenze significative saranno ben altre. Innanzitutto, la moneta: c’è chi vorrebbe mantenere la sterlina, e chi propone invece di passare all’euro, mentre si parla addirittura di coniarne una nuova. Fatto sta che, mentre la sterlina continua a scendere, il partito scozzese numero uno, lo Scottish Natonal Party, fa sapere che se saranno costretti a cambiare valuta lasceranno all’Inghilterra tutti i suoi debiti. Senza contare che la Scozia si porterà via con sé ben oltre il 90% dei pozzi di petrolio, privando l’economia inglese di una delle sue principali fonti di entrata, e potrebbe costringere il governo di Londra a ricollocare in un’altra zona tutto il suo arsenale nucleare, forse anche al di fuori dei suoi confini.
Tutto questo per l’Inghilterra si tradurrebbe in una grossa, grossissima perdita, da valutare in termini politici ed economici. Innanzitutto perché la Scozia vale da sola 150 miliardi dell’economia britannica, e in secondo luogo perché Londra potrebbe vedere ridimensionato il suo ruolo sullo scacchiere politico. Se venissero meno i laburisti di Edimburgo, infatti, David Cameron potrebbe dover rinunciare alla sua carica, e la geografia parlamentare inglese ne risulterebbe completamente trasformata; la Scozia, che è sempre stata più europeista dell’Inghilterra, potrebbe decidere per l’ingresso nell’UE come nuovo stato membro, mentre quest’ultima, che già non ha gradito la scelta di Juncker come presidente della nuova Commissione europea, potrebbe andarsene definitivamente.
Ma grossi dubbi sorgono anche sulla possibilità che la Scozia riesca ad entrare a far parte dell’Unione. Perché, per esempio, la Spagna dovrebbe sostenere uno Stato secessionista quando, da parte sua, ha a che fare con la questione della Catalogna? Per quale motivo il Belgio dovrebbe votare a favore col rischio che fiamminghi e valloni ne seguano poi l’esempio? E cosa accadrà alla già tremolante Europa se queste ipotesi dovessero concretizzarsi in un dato di fatto? Potrebbe succedere, magari, che i giganti europei diventino un po’ più piccoli: con l’attuale distribuzione dei seggi, i cinque maggiori Stati membri, Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Spagna sono in grado, quasi da soli, di contrastare l’azione di tutti gli altri messi insieme. L’indipendenza della Scozia potrebbe provocare una reazione a catena di sollevazioni irredentiste e di sconvolgimenti geopolitici, anche se la situazione per la Catalogna è un po’ meno favorevole, col governo spagnolo che considera anticostituzionali le consultazioni del 9 novembre. I cinque potenti e, in particolare, Parigi e Berlino, avrebbero meno sostegni dalla loro parte, sempre ammesso che tutti riescano ad entrare nell’Unione. In caso contrario, la novità scozzese darebbe man forte a quelle non poche correnti che in ogni parte del continente propongono a gran voce l’uscita dall’Eurozona, primo fra tutti il Front National di Marine Le Pen. L’effetto domino non è da sottovalutare, in un sistema in cui tutti gli elementi si tengono insieme, e se crolla uno, non è detto che gli altri si tengano in piedi. Il 18 settembre, se la Scozia vince, a perdere potrebbe essere non solo il Regno Unito, ma l’Unione Europea.