Carcere. Chiamo in causa la politica.Il carcere non è una discarica sociale.

“La fabbrica della paura, la strumentalizzazione del tendenziale colpevolismo dell’opinione pubblica, il paradigma del diritto penale del nemico, sono enormemente aggravati dalla loro perfetta funzionalità agli attuali populismi politici. Una politica, molte volte cinica, pavida, che crede nei sondaggi e nei consensi. Una politica che non si riappropria della sua reale funzione, vive nella dimensione di considerare il carcere un cimitero dei vivi, una discarica sociale; una risposta semplice al bisogno di sicurezza, una risposta semplice a bisogni complessi”. Il garante campano dei detenuti, Samuele Ciambriello, rinnova il suo j’accuse all’indomani dell’incontro su politica e carcere, svoltosi ieri in Consiglio regionale. Una iniziativa il cui obiettivo è stato, ricorda il garante, mettere a confronto operatori e istituzioni per far diventare il carcere “sempre di più un luogo dignitoso e sicuro per chi ci vive e per chi ci lavora, Ma è possibile una funzione rieducativa della pena in questi spazi carcerari, come a Poggioreale, dove ci sono celle da 6-8 persone? E’ possibile una funzione rieducativa della pena e una inclusione sociale, quindi la centralità della persona, se in moltissime carceri non ci sono spazi di socialità, spazi dell’intrattenimento, spazi culturali? Anche semplicemente campetti di calcio. Ad Ariano Irpino hanno costruito una sezione detentiva nuova sul campo da calcio, salvo poi dimenticare di costruire un nuovo spazio verde”. La politica “può e deve potenziare il numero degli operatori socio-sanitari nelle carceri. Co-progettare un piano per una formazione congiunta tra operatori dell’Amministrazione penitenziaria, magistrati di sorveglianza, istituzione scolastica, istituzione sanitarie e Terzo Settore. E, ancora, bisogna sviluppare tutte le iniziative per sostenere gli affetti dei detenuti, a partire dall’uso allargato delle tecnologiche, quindi incrementare le videochiamate con i familiari e utilizzare la tecnologia per sviluppare relazioni tra il carcere e la comunità esterna. Fondamentali, è anche mappare le esperienze di giustizia riparativa e far sì che di tali esperienze ce ne siano di più”. “Qualcosa in carcere si fa, ma non è ancora abbastanza per cominciare dei veri percorsi di rieducazione, in cui familiari di vittime varcano le porte del carcere per incontrare il detenuto. Di tutto questo, e anche altro, è necessario se ne faccia carico la politica. Questa deve trovare il coraggio di entrare in carcere: ognuno ha la possibilità di farlo per visite o ispezioni, ma quanti hanno mai visitato un istituto di pena? Quanti prima di proporre o votare una riforma hanno pensato di andare ad ascoltare detenuti, agenti, operatori tutti? Il carcere esiste e riguarda tutti noi. In relazione al carcere, noi crediamo di essere vittime, ma se si continua a rimanere inermi, si finirà inevitabilmente per diventare complici”, è il monito di Ciambriello. (ANSA).

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