Non è sempre detto che i ricordi degli anni passati tra i banchi di scuola siano i più belli. Per alcuni, la scuola è soltanto un ostacolo, un problema, forse anche un incubo. Per altri, quei ricordi potrebbero essere decisamente pochi, come nel caso dei numerosissimi giovani che alimentano la preoccupante quota di abbandoni scolastici precoci. In Italia, la quota di ragazzi che interrompono gli studi prima del tempo è pari al 17,6%, una media che colloca il nostro Paese al quarto posto in Europa, dietro a Spagna, Malta e Portogallo. Analizzando regione per regione, è il Sud la zona in cui si rilevano i dati più allarmanti, e in particolare in Sardegna, Sicilia e Campania, dove la media sale oltre il 20%. Dunque, nonostante il miglioramento registrato negli ultimi anni sia a livello nazionale che regionale, il traguardo del contenimento degli abbandoni al di sotto del 10%, come riporta l’Istat, appare ancora lontano. Causa dell’abbandono può essere un disagio sociale, magari una realtà familiare disastrata alle spalle, o più semplicemente, la sfiducia in quello che la scuola rappresenta. Ne abbiamo parlato con Rossella Mernone, direttrice del centro socio-educativo Megaron dell’Associazione Il Pioppo che vanta un’esperienza pluridecennale in fatto di attività socio-educative per minori nella fascia di età compresa tra gli 8 e i 16 anni, nonché di assistenza per nuclei familiari con particolare attenzione al ruolo genitoriale. «Sulla base di questa nostra lunga esperienza, si può dire che i giovani oggi non considerano più la scuola come tramite per accedere al mondo del lavoro e per ottenere un’opportunità di vita migliore. A volte non sono neanche incoraggiati a portare a termine il percorso di studi dai loro genitori, essi stessi convinti che la scuola non possa aiutarli e quindi che sia meglio cercarsi un lavoro fin da subito» Anche per questo, molti ragazzi, una volta ottenuta la licenza media, preferiscono voltare le spalle all’istruzione e dedicarsi ad altro, magari semplicemente in attesa che il proprio avvenire si realizzi. Come nel caso delle ragazze imprigionate da una vecchia mentalità di provincia nel ruolo della “femmina di casa”, costrette troppo presto a rinunciare al futuro nell’attesa di un marito. Dire che questi ragazzi voltano le spalle alla scuola non è però del tutto corretto: molto spesso è la scuola a voltar loro le spalle, anche soltanto per l’incapacità di far fronte alle loro difficoltà. «Il mondo della scuola – continua Rossella Mernone – è quasi sempre impreparato ad accogliere quei ragazzi che hanno dovuto sostenere i problemi più disparati, e che non di rado vengono superficialmente bollati come svogliatezza e negligenza nello studio. Il momento più traumatico può essere ritenuto il passaggio dalle medie alle superiori, cioè in una realtà in cui i più sfortunati, quelli che non raggiungono il livello richiesto, vengono lasciati indietro anziché essere aiutati. E così alcuni di loro decidono di lasciar perdere, di chiudere definitivamente con la scuola. Mettici poi che le scuole secondarie di secondo grado spesso e volentieri offrono una formazione che rischia di restare sul piano della teoria, e di risultare così inutile agli occhi di quegli adolescenti che mirano ad un lavoro più pratico ed immediato. Si tratterebbe di rivalorizzare i mestieri, anche quelli manuali, con dei corsi specifici che offrano a tutti la possibilità concreta di scegliere una strada efficace e produttiva, che non sia solo quella del liceo classico o scientifico. Negli ultimi anni, infatti, si è registrato un aumento di iscrizioni agli Istituti Professionali Alberghieri, proprio perché consentono una preparazione direttamente “sul campo”».
La triste realtà della scuola italiana, purtroppo, è che troppo spesso ci sentiamo dire che mancano i fondi per attuare questo progetto, per assumere quell’operatore, mancano i fondi per qualunque cosa. Comprese quelle figure che si occupano di assistenza psicologica per i ragazzi: «Non che qui si voglia fare la guerra al docente cattivo, ma la verità è che frequentemente gli insegnanti non hanno i mezzi o il tempo di andare oltre lo studente che gli sta di fronte, per comprendere quali siano i suoi disagi personali. La presenza di un professionista sarebbe più che indispensabile, anche per restaurare nei ragazzi la fiducia e la speranza nei confronti della scuola». Il Pioppo, in particolare, ha intrapreso anche, in collaborazione con altre associazioni del terzo settore e con le scuole coinvolte, un’attività di coaching per studenti in alcune strutture a Napoli, sebbene interrotta a causa della suddetta mancanza di risorse. Tra l’altro, l’associazione accoglie tra i suoi iscritti anche minori disabili o appartenenti a famiglie non di origine italiana, altre due categorie particolarmente colpite dalla crisi in cui versa il nostro sistema scolastico: «I tagli all’istruzione non permettono neanche di inserire, laddove ce ne fosse bisogno, degli insegnanti di sostegno in grado di occuparsi dei bambini con disabilità non soltanto motorie, ma anche con problemi di apprendimento, così come quelle figure di mediatori che aiutino bambini e ragazzi stranieri a imparare più velocemente la nostra lingua». Ma in tempi di crisi, in cui sentiamo parlare soltanto di austerity e di spending review, la scuola è sempre la prima a rimetterci le penne. C’è voglia di sperare nelle parole di Renzi e nei tanto sbandierati finanziamenti, sperare che si investa non soltanto nella sicurezza e nella ristrutturazione, ma anche nella qualità e nel personale. Perché le associazioni da sole non possono sempre proseguire per la strada del volontariato. Perché c’è chi lavora davvero per una scuola migliore.