Far affiorare la realtà carceraria vista dall’interno, con gli occhi del recluso, confermando la filosofia che una pena efficace non può non basarsi sulla socializzazione e sull’educazione. E’ la mission del progetto fotografico “L’ora di luce” che dall’Irpinia è arrivato fino a Milano per partecipare all’esposizione collettiva sulla Legalità presso il Castello Sforzesco, promossa da Fondazione “Con il Sud” e realizzata dall’associazione culturale La Fucina nell’ambito dell’iniziativa “Infiltrazioni di Legalità”.
“L’ora di luce”, realizzata dai volontari dell’Associazione Culturale Miscellanea – Collettivo D:N:A (Annibale Sepe, Federico Iadarola, Luca Lombardi, Simona Spinazzola) e grazie alla disponibilità del Direttore della Casa Circondariale di Ariano Irpino, Gianfranco Marcello, è una dei cinque progetti selezionati da MostraMI tra i tanti pervenuti, e ha suscitato grande interesse e curiosità attirando l’attenzione anche di personalità di spicco, come Raffaele Cantone e Romano Prodi, ospiti della manifestazione.
Gli scatti sono opera di alcuni detenuti del carcere di massima sicurezza arianese. Il progetto consisteva in un corso di fotografia per 10 di loro cui insegnare e trasmettere le basi di una professionalità da eventualmente utilizzare fuori dal penitenziario, una volta scontata la pena. Ma voleva anche creare un reportage capace di mostrare i carcerati come persone, in tutta la loro umanità con desideri, attitudini, passioni. “La scelta di realizzare autoritratti ha voluto regalare la possibilità ai detenuti di vedersi con occhi diversi, di potersi raccontare in maniera personale – spiegano i volontari del Collettivo D:N:A – Il ritratto ha consentito loro di lavorare su se stessi, raccontando tanto la dura consapevolezza della situazione attuale, quanto la volontà di mostrarsi in modo diverso a chi c’è intorno, per cercare di andare oltre il cliché del carcerato. Sono e posso essere altro da ciò che la vita mi ha portato ad essere”.
Un percorso con una triplice valenza culturale: formare i detenuti fornendo loro strumenti anche pratici per riappropriarsi di un posto nel mondo, spronare istituzioni e terzo settore alla collaborazione perché attraverso di essa si possono ottenere risultati importanti; ed educare chi si trova dall’altra parte delle sbarre. Le possibilità di reinserimento sociale dei “carcerati” dipendono sì dalla disponibilità di risorse, leggi e integrazioni di norme esistenti, ma crescono soprattutto se la società si apre all’accoglienza e riesce a dare una seconda chance a partire da rapporti umani liberi da pregiudizi e stereotipi.