“La vita di Indi è finita all’01:45, io e Claire siamo arrabbiati, con il cuore spezzato, pieni di vergogna”.
Queste le parole di Dean, padre della piccola Indi Gregory, morta dopo che le sono stati staccati i macchinari utili per la sua respirazione.
La piccola, nata a Nottingham, in Inghilterra, aveva 8 mesi ed era affetta da una grave malattia, sindrome da deplezione del DNA mitocondriale che comportava un numero molto basso di mitocondri nelle cellule.
Il governo inglese aveva deciso di sospendere la respirazione assistita per dare una morte più dignitosa alla bambina, evitando il cosiddetto “accanimento terapeutico”.
Le cure della piccola Indi, secondo i giudici, sarebbero state inutili e, quindi, accettata la sospensione di supporti vitali.
Nonostante l’Italia abbia proposto di concedere la cittadinanza ad Indi per ricoverarla all’ospedale pediatrico Bambin Gesù, la Corte Britannica non ha approvato, respingendo l’istanza.
E’ stato, quindi, comunicato ai genitori che questa scelta sarebbe poco fruttuosa e non nell’interesse della bambina.
L’11 novembre scorso i macchinari di Indi sono stati staccati e la notte tra il 12 ed il 13 dello stesso mese, la piccola è morta.
“Il servizio sanitario nazionale e i tribunali non solo le hanno tolto la possibilità di vivere, ma le hanno tolto anche la dignità di morire nella casa di famiglia a cui apparteneva”, ha affermato il padre in un messaggio rivolto agli avvocati.
Anche il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha espresso il suo cordoglio: “Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, tutto il possibile. Purtroppo non è bastato. Buon viaggio piccola Indi”.
Ogni paese possiede le sue leggi e farle rispettare è un dovere. C’è da chiedersi, però, se possiamo davvero decidere vita e morte di un altro individuo.