Caro direttore, ho letto il tuo “Dito nell’occhio” sulle difficoltà dei sindacati e il sondaggio proposto dal Corriere della Sera. Una premessa: i sondaggi bisogna sempre prenderli con le molle. Tento un commento, forse un po’ lungo, ai dati emersi.
1) Che il sindacato sia in declino penso sia vero. Il declino cominciò già negli anni ’80, con il fallimento del progetto di unità sindacale organica. Poi le politiche neo-liberiste, la globalizzazione, la precarizzazione del lavoro, lo smantellamento dello stato sociale, il ventennio berlusconiano con le grandi divisioni sindacali, la grande crisi finanziaria hanno sicuramente accentuato questo declino. In parte soggettivo, cioè l’inadeguatezza del sindacato a fronteggiare una realtà del lavoro radicalmente nuova; in parte oggettivo, nel senso che se i rapporti di lavoro diventano precari nella stragrande maggioranza è evidente che il ricatto della perdita del lavoro senza protezioni cui sono sottoposti i lavoratori impedisce di fatto la loro sindacalizzazione indebolendo fortemente la possibilità d’azione del sindacato.
2) I sindacati fanno troppo politica e poco contrattazione? In parte è vero, ma va un po’ meglio spiegato. Che il sindacato confederale svolga anche un ruolo politico lo ritengo necessario, almeno per quanto riguarda le politiche industriali e di sviluppo, le politiche fiscali, le politiche sociali perché queste politiche incidono fortemente sulla condizione dei lavoratori e dei soggetti più deboli, oltre, naturalmente, su tutto ciò che attiene la difesa della democrazia contro il terrorismo e la criminalità organizzata, la ricerca della pace nel mondo. La questione vera è che il sindacato, in quest’ultimo ventennio, è stato sempre meno autonomo rispetto alle politiche dei vari governi di centro-destra, con Cisl e Uil completamente appiattite, e di centro-sinistra, con la Cgil critica più a parole che nei fatti. E lo stesso si è verificato anche a livello dei governi locali. Basti pensare, ad esempio, alla totale assenza di conflittualità nei confronti del governatorato di Bassolino, pur in presenza dello scoppio della gravissima crisi dei rifiuti; oppure nei confronti della sindacatura della Jervolino, con tutte le pesanti inefficienze che si manifestarono. Insomma è prevalsa la linea del non disturbare il manovratore, appartenente al proprio campo di maggioranza, non capendo che l’azione di stimolo e di lotta dal basso può addirittura aiutare chi governa a tenere fede ai propri programmi, nella realtà storica condizionati dalle difficoltà frapposte dei poteri forti, dalla burocrazia, da incrostazioni sociali e culturali dure a morire. Naturalmente, non possiamo mettere tutti sullo stesso piano: in questi anni la Cgil si è trovata spesso sola ad organizzare scioperi e manifestazioni soprattutto contro le politiche dei governi nazionali.Sulle carenze di tutela dei lavoratori, evidenziate dal sondaggio, bisogna ammettere che negli ultimi anni sta prevalendo da parte del sindacato l’attività di servizio individuale a scapito della contrattazione collettiva sui posti di lavoro. Si privilegia l’attività dei Patronati e dei Caf, oltre la presenza negli organismi cogestivi della formazione e dell’arbitrato. Questa tendenza è particolarmente accentuata nella Cisl e nella Uil, che hanno messo in discussione anche la contrattazione nazionale a favore di quella aziendale. Ma non si tiene conto che senza contratto nazionale, rimarrebbero contrattazione effettiva e senza incrementi salariali la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani concentrati nelle piccole aziende. Se poi la contrattazione aziendale nelle aziende medie e grandi viene regolata dal metodo Marchionne applicato alla Fiat di Pomigliano, allora da contrattare resta ben poco.
3) Per quanto riguarda il lavoro precario e i giovani, è vero che quando Treu, con il Governo Prodi, nel ’98 mi pare, introdusse le prime tipologie il sindacato sembrò non opporsi e raccogliere la sfida della flessibilità, cercando, con molta difficoltà, nuove linee di intervento e nuovi strumenti organizzativi. Ma, subito dopo, con il Governo Berlusconi con la legge Biagi quelle tipologie divennero per numero una valanga e nella normativa sempre più a gestione discrezionale delle imprese. E la già debole linea di difesa del sindacato fu completamente travolta lasciando spazio al dilagare di masse enormi di precari, nel privato e nel pubblico, senza tutele e sotto ricatto. Se resta questa situazione e il Governo Renzi elimina anche quel poco che è rimasto dell’art.18 l’attacco alla dignità e libertà dei lavoratori si chiude con la precarizzazione generalizzata del mondo del lavoro e, a questo punto, con la fine del sindacato della contrattazione. Ci resterà quello dei servizi, con tanti saluti alla storia gloriosa del sindacalismo italiano. Ma non è detta l’ultima parola.