Sono anni che i membri dello United Kingdom Independence Party tentano di superare la soglia di Westminster, e adesso ce l’hanno fatta davvero. Per la verità, i segnali di una imminente vittoria, seppur contenuta, andavano colti già da tempo. Ad esempio, quando appena lo scorso anno, alle elezioni amministrative, si avvicinarono di molto al totale dei voti ottenuti dal Partito Conservatore, e poi alle ultime europee, quando l’UKIP è riuscito a far eleggere ben 24 dei suoi deputati. Ma il risultato più importante sembrerebbe essere appunto quello ottenuto in patria, dove il partito di Nigel Farage ha piazzato il suo primo candidato in Parlamento. Si tratta di Douglas Carswell, il politico quarantatreenne antieuropeista, contro i matrimoni gay e che non vuol sentir parlare di riscaldamento globale. In realtà, questa, per Carswell, non è la prima volta al Parlamento britannico, dove si era già seduto in qualità di conservatore e dove, da oggi in poi, siederà sotto un nuovo simbolo. Il dato impressionante è che, nel seggio di Clacton, nell’Essex, nel sud-est del Paese, Carswell è riuscito a portare dalla sua parte ben il 60% degli elettori, in una zona tradizionalmente considerata una roccaforte del Partito Conservatore. Certo, c’è da specificare che le elezioni in questione si erano tenute proprio per riempire il seggio lasciato vacante dalla defezione dello stesso Carswell dal suo precedente partito, e che quel seggio lì se l’è ripreso pressappoco con gli stessi voti di quattro anni fa. Ma il fatto che l’elettorato locale, tra la fede nel partito e l’ammirazione per un candidato abbia scelto quest’ultima, non è da sottovalutare, perché potrebbe voler dire che in caso analogo di altri “passaggi” da uno schieramento all’altro, la situazione potrebbe ripetersi tale e quale. E allora, i seggi diventerebbero due, tre, quattro, e chissà quanti altri.
Per di più, si aggiunga che nel giro di poche ore l’UKIP ha riportato un risultato che non si può definire vittoria, ma un successo, forse sì. Stiamo parlando del distretto di Heywood e Middleton, stavolta nel nord-ovest della Gran Bretagna, dove a vincere è stata la candidata laburista Liz McInnes, ma l’indipendentista John Binkley è arrivato secondo facendo perdere terreno agli avversari. Nigel Farage, leader del Partito per l’Indipendenza, ha ironizzato sul risultato affermando che, se da tempo immemorabile al sud predominano i conservatori e al nord la sinistra, la sua è ormai l’unica forza politica in grado di ottenere consensi omogenei da un capo all’altro dell’isola. La difficoltà cui va incontro Farage, tuttavia, è costituita dal fatto che il sistema elettorale britannico non favorisce la rappresentanza proporzionale su base nazionale, anzi. Il che vuol dire che avere la maggioranza in Parlamento non significa necessariamente avere la maggioranza nel Paese. Ma, al tempo stesso, questo non significa che si tratti di un risultato da prendere sotto gamba per i due principali partiti inglesi: le forze e i movimenti che si battono per il ritiro dall’Unione Europea sono sempre più agguerrite e numerose nel continente, e non c’è bisogno di andare a guardare al di là delle Alpi per sentirne parlare, dal M5S di Beppe Grillo alla più “anziana” Lega Nord; e anche al di fuori dei nostri confini, la Coalizione della Sinistra Radicale in Grecia e il Fronte Nazionale di Marine Le Pen non scherzano mica. Se il sistema elettorale di cui si parlava non permetterà all’UKIP di salire al governo a scapito di Labour e Tories, ciò non toglie che possa almeno fargli tremare la terra sotto i piedi.
Il prossimo mese, un altro ex conservatore passato al Partito per l’Indipendenza, Mark Reckless, si presenterà alle elezioni nel distretto di Rochester, e allora potrebbe anche diventare il secondo deputato indipendentista d’Inghilterra. Il Paese ha già scansato il pericolo della secessione della Scozia un mese fa, e magari nell’arco di un paio d’anni laburisti e conservatori si riprenderanno i consensi che hanno perso ultimamente, ma non sarebbe errato dire che il 2014, per la Gran Bretagna, è stato l’anno in cui lo sconvolgimento politico sembrava giusto dietro l’angolo.