L’arte e la cultura sono una priorità della politica? Attorno a questa domanda si è sviluppato l’intervento di Moni Ovadia, ospite del ciclo “Incontri” nell’ambito del progetto “Irpinia: un sistema fra cultura e memoria”, che si è tenuto ieri sala consiliare di Bagnoli Irpino. Più che un dialogo tra l’attore e autore italo-bulgaro-ebreo e il produttore teatrale boliviano Andres Neumann, quella di Ovadia è stata una performance dialettica che attraverso aneddoti, racconti e citazioni ha arricchito la platea.
«Pasolini denunciava il pericolo delle mutazioni antropologiche che fanno perdere l’identità ai territori perché bloccano la trasmissione della cultura. E’ questo il rischio che corre la nostra società dove il compito di tramandare e formare è stato delegato ai media innescando un cortocircuito – ha esordito il maestro – Siamo nell’era dell’incontinenza mentale dove la mattina si ci sveglia e si vomita su Facebook tutto ciò che in quel momento passa per la testa, e conti solo se appari in televisione».
«Nel passato il potere opprimeva il mondo contadino, ma non lo omologava; magari lo disprezzava, non riusciva a capirlo e forse non gli interessava farlo. Oggi invece siamo avvolti dall’omologazione pervasiva. Questa è l’epoca in cui dieci gruppi finanziari detengono tanto quanto il Pil degli Stati Uniti – ha continuato Ovadia e i valori che prevalgono solo il denaro e il narcisismo autoreferenziale. E’ quindi necessario stabilire una scala di priorità e giusti valori».
La cultura appunto è la priorità da cui secondo Ovadia si dovrebbe ripartire per generare sviluppo, iniziando dalla formazione dei dirigenti politici, indipendentemente dal partito di appartenenza. «Il vero problema del nostro tempo è che la nostra classe dirigente è senza cultura. Ricordo – ha continuato – che quando anni fa incontrai il democristiano Martinazzoli, io che sono sempre stato a sinistra, rimasi incantato della sua immensa preparazione. I politici di oggi invece hanno una formazione raccogliticcia, utile a partecipare ai talk show. Servirebbe invece formare una classe dirigente che abbia la capacità di vedere le cose, che abbia una visione di verso dove si vuole andare. Non basta dire “siamo un grande Paese”. Ad esempio, il territorio è una priorità? L’essere umano nel territorio è una priorità? Abbiamo imprenditori eccezionali che rispettano l’ambiente, gestiscono con fair play i rapporti con i dipendenti. Abbiamo straordinari amministratori soprattutto nelle periferie. C’è però una meglio gioventù che senza santi in paradiso è costretta da andare via dall’Italia».
E allora come rivitalizzare il patrimonio materiale e immateriale italiano fatto di arte e territorio, di teatro e monumenti, di letteratura e architettura? «Come ha fatto Abreu in Venezuela, con la volontà di un uomo e il sostegno di una politica illuminata disposta a investire – come in Germania – in istruzione, cultura e ricerca. Non serve altro – è la conclusione del teatrante – Bisogna creare una “lobby” positiva fatta di quanti credono che la cultura sia l’elemento identitario per eccellenza del nostro Paese, un movimento dal basso che crede nella cultura come bene comune. Ci vorranno tempi lunghi e capacità di progettazione, ma il tempo della delega è finito, la democrazia non consiste nel mettere una croce sulla scheda elettorale, ci vuole assunzione di responsabilità da parte di tutti».