Il lavoro ha raccolto in piazza a Roma ieri oltre un milione di persone da tutta Italia. Secondo le prenotazioni gestite dalla Cgil nella capitale il sindacato ha portato 2.500 pullman, 10 treni straordinari oltre a svariati posti prenotati nei treni ordinari e sugli aerei, una nave e due voli charter dalla Sardegna, cui va ad aggiungersi chi si è mobilitato autonomamente. Nelle stesse ore, mentre a Roma il torpedone rosso del sindacato della Camusso colorava Piazza San Giovanni, a Firenze Matteo Renzi decideva di coordinare i lavori della Leopolda, giunta alla quinta edizione, circondato da iscritti e amici del partito, tra cui il finanziere Davide Serra. Fulcro dell’appuntamento le testimonianze di chi si è reso protagonista di storie di impresa in Italia, piccole e grandi, per far raccontare a chi è andato avanti nonostante la crisi che è possibile creare posti di lavoro, che l’Italia può rimettersi in moto.
C’era il PD alla stazione Leopolda dove tra i giovani organizzatori figura anche il campano Luigi Famiglietti; ma c’era pure a Piazza San Giovanni dove si sono ritrovati tra gli altri Gianni Cuperlo, Rosy Bindi e Pippo Civati. Due luoghi cui per qualche ora sono corrisposte due visioni forse inconciliabili del lavoro e anche del Partito Democratico nel nostro Paese. Da una parte quel pezzo di PD perennemente proiettato verso un futuro che concepisce la nostalgia per il passato come un fardello e un freno; dall’altra parte un’area dei democratici messa in crisi e disorientata dalla linea di un leader pronto a toccare quell’articolo 18 che per la sinistra ha rappresentato sempre una conquista di civiltà per il lavoratore, uno strumento di riequilibro del potere del padrone.
Distanti nei luoghi e sovrapposte nei tempi, la manifestazione romana e quella fiorentina hanno dialogato e si sono scontrate. Lo hanno fatto innanzitutto perché in entrambe si è messo al centro il lavoro ma declinato in forme diverse, poi attraverso la scelta degli slogan. “Lavoro, Dignità, Uguaglianza. Per cambiare l’Italia”, quello della Cgil; “Il futuro è solo l’inizio”, quello renziano. In entrambi è presente l’idea del movimento, la volontà e il dovere del cambiamento. Sapere che c’è una fetta ampia del Paese che si riconosce nelle battaglie della Cgil e della sinistra dentro e fuori il PD e sente la necessità di cambiare lo status quo, nonostante la tendenza a dipingerla come blocco conservatore che si oppone all’azione riformatrice, è una buona notizia per l’Italia. Se il fine coincide, resta da capire se a Renzi conviene veramente trovare un punto di contatto sui mezzi per raggiungerlo con questa parte della sinistra, o piuttosto forzare lo scontro per provare un’operazione di inclusione di ciò che è posizionato alla sua destra.
La prova di forza del sindacato della Camusso che si è ritrovato nel 25 ottobre è inoltre un messaggio troppo assordante per essere ignorato dal premier, che è uomo sensibile al tema del consenso e sa bene di non potersi turare le orecchie, ma quanto meno deve tentare una conciliazione sul tema dell’articolo 18 e su quello del riconoscimento di un modello di società democratica in cui, citando l’appello sottoscritto tra gli altri da sedici membri della direzione nazionale PD (Roberta Agostini, Enzo Amendola, Enza Bruno Bossio, Micaela Campana, Rosa D’Amelio, Cesare Damiano, Alfredo D’Attorre, Guglielmo Epifani, Stefano Fassina, Silvio Lai, Danilo Leva, Antonio Luongo, Andrea Manciulli, Massimo Paolucci, Nico Stumpo, Davide Zoggia), “l’autorganizzazione sociale riveste una funzione essenziale. Il rinnovamento del Paese non può fare a meno di soggetti collettivi democraticamente rappresentativi e più unitari”. E la manifestazione romana effettivamente ha dato sostanza visiva alla forza contrattuale della Cgil.
Ma Piazza San Giovanni e la stazione Leopolda si sono scontrate anche perché dall’alto del suo 41% e dei dati dei sondaggi che hanno visto la fiducia nel PD e nel premier subire solo una lieve flessione negli ultimi mesi, Renzi può permettersi di dire che è il Paese a chiedergli di andare avanti e il compito di un sindacato grande come la Cgil dovrebbe essere la difesa degli interessi di tutti i lavoratori, anche di quelli che l’indeterminato non l’avranno mai, anche delle false partite iva e dell’esercito dei precari.