Dalla prima repubblica all’era Renzi, la politica italiana ha subito profonde trasformazioni. Alcuni hanno riscontrato similitudini tra la leadership del premier e segretario del PD Matteo Renzi e la figura del controverso leader del PSI e più volte premier negli anni ’80 Bettino Craxi, durante gli anni gli anni della sua ascesa al potere.
Ma cosa hanno di simile e cosa invece è differente? Ne parliamo con Bobo Craxi, figlio di Bettino, che ha rivestito negli anni diversi incarichi politici tra cui sottosegretario agli Affari Esteri durante il governo Prodi, e attuale esponente del ricostituito PSI.
Gli ultimi due anni sono stati densi di avvenimenti politici e hanno rivoluzionato il mondo politico italiano. La sinistra italiana ha pagato per anni l’assenza di leader carismatici, almeno prima che spuntasse Renzi. Alcuni hanno accostato il fenomeno del renzismo a quello del craxismo, ponendo come analogia la forza persuasiva dei leader nei confronti degli elettori.
Cosa pensa in proposito? Ci sono davvero somiglianze o piuttosto sono più forti le differenze?
«Ogni leadership politica è figlia del suo tempo, della sua storia personale e della sua cultura, ho già avuto modo di sostenere una sostanziale differenza fra le due personalità e la oggettiva differenza di fase storica che l’Italia sta vivendo. Il craxismo insediò con forza il concetto della democrazia governante ed in questo senso si delineano delle analogie con la volontà di Renzi di promuovere una svolta nella capacità della politica di scegliere e decidere una volta ottenuto un consenso dai cittadini. Se il metodo appare giustamente assimilabile, sul piano del merito non è difficile osservare le differenze lampanti: mio padre Bettino fu un leader di limpida tradizione socialista democratica, altrettanto non possiamo dire di Renzi che ha tutt’altra formazione e provenienza politica ed una spiccata insensibilità per i temi classici della sinistra e il suo rapporto con il mondo del lavoro, così come registro una distanza direi abissale fra i due in materia di politica estera e nell’affermazione della centralità dei partiti nella politica democratica».
Suo padre riuscì a convincere gli italiani a votare il 9 giugno 1984 a favore del decreto di San Valentino, che di fatto aveva tagliato tre punti della scala mobile, scontrandosi sia col PCI che con la CGIL, oggi Renzi riuscirà a convincere gli italiani che il posto fisso è morto e l’articolo 18 va archiviato per sempre?
«Il decreto di San Valentino fu nei fatti una manovra di politica economica il cui esito fu positivo con l’abbassamento drastico dell’inflazione e l’aumento del potere di acquisto e di valore di salari e pensioni. L’Art 18 attiene alla sostanziale modifica dei rapporti di lavoro e mina il carattere delle tutele dei lavoratori dipendenti confidando che l’alleggerimento delle stesse produca nuova occupazione. Staremo a vedere. Gli italiani si convincono sempre alla fine perché l’esordio è molto contrastato».
Suo padre fu accusato di avere intascato somme cospicue per finanziare il PSI ed era considerato il referente politico di Berlusconi prima che questi “scendesse in campo”. Renzi in occasione della Leopolda non ha fatto mistero dei finanziamenti che riceve da capitalisti e viene accusato dalla Camusso di aver conquistato il potere grazie ai cosiddetti poteri forti. Grillo invece sostiene che la politica dovrebbe essere esercitata senza soldi. Quali sono, a suo parere, i costi eticamente sostenibili dalla società per ottenere in cambio una politica che produca idee e riforme miranti all’interesse collettivo e non del singolo potere?
«In una società nella quale i partiti hanno progressivamente perso il loro ruolo organico e fondamentale, in un Italia ormai secolarizzata dal punto di vista delle ideologie politiche c’è meno sensibilità circa la necessità di un sostegno pubblico alla democrazia. A questa caduta di sensibilità hanno fortemente contribuito anche i gravi episodi occorsi nella seconda repubblica in margine all’utilizzo scellerato dei finanziamenti ai gruppi politici. Sta di fatto che la Seconda Repubblica ha sottratto risorse alla democrazia aprendo cosi di fatto la strada alla privatizzazione della politica operata da clans interni ed anche internazionali alterando il necessario rapporto di neutralità fra denaro e scelte pubbliche. Non so a questo punto qual e’ la prospettiva a cui assisteremo. Certo che in tutto questo abbiamo ottenuto il massimo di confusione, corruzione e non trasparenza».
Tangentopoli e l’inchiesta Mani Pulite segnarono la fine della Prima Repubblica, e l’inizio della Seconda. Con quali differenze? Cosa era cambiato nel modo di fare politica? Molti dicono che è venuto a mancare il rispetto degli avversari, però anche ai tempi di suo padre (vedi il conflitto con Berlinguer) ci andavano giù duro.
«È cambiato il sostanziale rapporto fra ideali e la realizzazione degli stessi, fra teoria e prassi, il rispetto dovuto al punto di vista altrui. La politica appare sempre più una lotta di potere fine a se stessa fatta non nel none di ideali e sentimenti nobili ma determinata all’obiettivo della conquista del potere non per cambiare lo stato di cose ma per favorire settori ben definiti della società».
La politica e i mezzi di comunicazione. I talk show televisivi hanno influenzato il modo di vedere la politica e i politici? La televisione ha contribuito a rendere gli elettori più consapevoli o ha solo alimentato il qualunquismo?
«La politica democratica si è trasformata in una videocrazia, esattamente quello che vaticinava Craxi all’inizio dei ’90. D’altronde non è possibile frenare con le mani l’avanzata impetuosa dei mezzi di comunicazione di massa e la molteplicità dei modi di fruizione. Questo naturalmente aumenta certamente l’informazione ma obbliga la politica ad adeguarsi a discapito del pensiero lungo e dell’approfondimento. E’ naturale che la conseguenza sia quella di un’assimilazione di tutta la politica in un’unica soggettività senza distinzione alcuna. Quindi è naturale che la cattura del consenso appare indiscriminata, i cittadini si trasformano in consumatori da convincere. Questo però è un fatto che riguarda l’intera democrazia globale e non è un caso esclusivamente italiano».
È recente una sua lettera di protesta a Urbano Cairo in seguito all’atteggiamento di Giovanni Floris, nella missiva definito “volgare”, tenuto dal giornalista durante un suo scontro dialettico con Renato Brunetta, nel corso della trasmissione ‘di Martedì’ andata in onda su La7. Floris, riferendosi alla conquista della Segreteria nazionale del Psi da parte di suo padre, ha mimato con la mano il “fruscio” del denaro, e lei si è risentito. Ci spiega meglio il suo risentimento? Urbano Cairo ha risposto alla sua missiva?
«Io considero che i conduttori televisivi dovrebbero sempre attenersi ad un grado di neutralità e di imparzialità. Floris si è concesso il lusso di fare lo spiritoso con quel gesto inelegante e volgare che si commenta da solo. Brunetta da par suo lo ha ben sistemato. Ho reso pubblica la mia lettera a Urbano Cairo che conosco da più di trent’anni perché la sua laconica e inconsistente risposta (“mi spiace”) esigeva da parte mia una presa di posizione pubblica e non un’alzata di spalle come tante volte ho fatto in questi lunghi venti anni in cui ne ho sentite di tutti i colori e che mi hanno assolutamente assuefatto e reso insensibile a critiche e strafalcioni offensivi alla nostra storia collettiva o personale».
A tanti anni da Tangentopoli scoppia in poco tempo il caso Mose, e poi quello dell’Expò, ma questa volta il sistema politico sembra tenere, la gente sembra quasi non scandalizzarsi. Colpa dei tanti scandali nei gruppi regionali, nella gestione della ricostruzione de L’Aquila e in tante altre inchieste che si sono susseguite negli anni? Insomma, in Italia, la corruzione è proprio inevitabile?
«Bisogna saper distinguere sempre fra le ruberie personali della seconda repubblica e il sistema consolidato di finanziamento alla politica che avveniva in forme irregolari nella prima repubblica. I primi son peggiori perché sono commessi da coloro che si sono fatti strada in questi anni agitando il vessillo della moralità e dell’onestà in politica. Detto questo il nostro paese ha un tasso di corruzione ancora troppo elevato seppur nella norma di altri paesi europei. Esso non riguarda solo la società politica ma molti settori della vita pubblica. Mi pare che tuttavia ci sia una crescente sensibilità nella società ed anticorpi si stanno introducendo in particolare nelle nuove generazioni. Bisogna sperare per il meglio».
Lei ha parlato di ingerenze degli Usa negli affari italiani, facendo riferimento alle rivelazioni dell’ex ambasciatore americano Reginald Bartholomew. Oggi chi potrebbe esserci a fare da regista dietro le quinte?
«Intanto è un bene che si sappia del grave ruolo di ingerenza politica nei nostri affari interni da parte americana nel 92/94, oggi non saprei quale sia il grado di interferenza, certo che alcune nomine ed alcune scelte politiche di uomini con evidenti collegamenti internazionali fanno pensare. Il governo Renzi non è immune da questo sospetto».
Un’ultima domanda: la crisi a quanto pare non può non incidere sul welfare, sanità, stipendi e classi sociali deboli. Il PCI non c’è più, SEL non riesce a incidere più di tanto nella vita politica del paese e il M5S a parte i proclami sembra più interessato all’ostruzionismo che a cambiare il paese. C’è bisogno di una nuova forza di sinistra? Il PSI come si colloca in questa situazione?
«La fine dei partiti ideologici colpisce innanzitutto la sinistra cioè la parte più politica del paese. D’altronde la scelta negli anni novanta dei post comunisti di allearsi coi centristi democristiani in una formazione unica ha deteriorato questo stato di cose. Verrà avanti una nuova formazione a sinistra del PD ma guidata da esagitatori sociali che non rappresenteranno una reale alternativa di governo. Quanto al PSI, pur facendo parte del vertice del partito mi trovo in una posizione critica circa l’appiattimento sul PD e sulla nostra scelta di patto federativo con esso, credo fermamente nella necessita di scioglierlo per favorire un avanzamento autonomo di un partito che ha più di 120 di Storia di cui dobbiamo andare orgogliosi. Il PSI può e deve essere il punto riferimento politico e sociale di una sinistra riformista, laica, liberale. In questo distinguendosi chiaramente dall’impianto politico ed ideologico ed ora plebiscitario del PD».