«Guai a fare del lavoro il terreno dello scontro», aveva detto solo pochi giorni fa il premier Matteo Renzi all’inaugurazione dello stabilimento Piaggio di Villanova d’Albenga. Monito doveroso in un Paese che ha conosciuto stagioni tristi nei decenni scorsi con protagonista proprio il mondo del lavoro, le fabbriche e cellule ideologizzate e deviate della società. Però mentre lanciano messaggi di responsabilità alle organizzazioni sindacali e a una parte della sinistra italiana, Renzi e i renziani continuano dritto per la loro strada, che non è tanto quella della modifica dell’articolo 18 o della Riforma del Lavoro così come disegnata dalla legge delega, quanto piuttosto quella della delegittimazione dei sindacati. In particolare di quella Cgil che si presta molto bene a incarnare il ruolo di impopolare organizzazione conservatrice, volta a tutelare a tutti i costi i diritti acquisiti da gruppi di cittadini sempre più esigui, contro qualsiasi spinta riformista.
L’ultimo esempio, in ordine di tempo, lo ha regalato l’annuncio della scelta del 5 dicembre come data per lo sciopero generale Cgil con manifestazioni a livello territoriale contro la Legge di Stabilità e il Jobs Act. Annunciato dal palco di Piazza San Giovanni, lo sciopero quindi ci sarà ed è stato convocato alla vigilia del ponte dell’Immacolata. Una scelta che non è passata inosservata e ha immediatamente suscitato polemiche. Ma soprattutto ha immediatamente gettato altra benzina sullo scontro in atto da settimane tra il sindacato di via Nazionale e il Partito Democratico, o quanto meno quella parte dei democratici che soffia nella direzione di Renzi.
«E’ questa l’idea che ha la Cgil di uno strumento così importante come lo sciopero? Il 5 dicembre è un venerdì, poi sabato, domenica, lunedì 8 dicembre è festivo. Il ponte è servito», l’osservazione pungente su Twitter di Ernesto Carbone, responsabile PA, innovazione e Made in Italy della segreteria nazionale del Partito Democratico. Rincara la dose Francesco Nicodemo: «Se in giro leggo e si dice ‘fanno lo sciopero prima del ponte dell’Immacolata’, forse la Cgil dovrebbe farsi qualche domanda. Forse, eh!».
In effetti, organizzare uno sciopero generale a ridosso di un ponte di tre giorni è una mossa per certi versi autolesionista e che fa passare in secondo piano ogni rivendicazione del sindacato nei confronti del Governo. Peraltro non regge neppure la motivazione secondo cui la data sarebbe stata scelta per la coincidenza con lo sciopero unitario del settore scuola di Cgil-Cisl-Uil. Il coordinatore nazionale Cisl Lavoro pubblico, Francesco Scrima, si è infatti affrettato a precisare che «nessuna data di proclamazione di sciopero generale per il giorno 5 dicembre era stata sottoscritta dai sindacati di categoria della Cisl della scuola e del pubblico impiego. Era stata concordata con Cgil e Uil un’azione unitaria esclusivamente per le categorie della scuola e del Pubblico impiego che non doveva essere legata a iniziative di altre categorie». Musica per le orecchie del fronte dei rottamatori del sindacato della Camusso che non aspettava di meglio di un’occasione come questa da cavalcare, con tutto il carico di ironia che porta con sé, chiudendo ogni possibile ragionamento su motivazioni, costi e obiettivi di una decisione così drastica come quella di fare ricorso al diritto allo sciopero generale, segno di un forte disagio sociale.
«La polemica sullo sciopero del 5 dicembre è pretestuosa e buona per chi non vuole occuparsi dei problemi veri delle persone. Ponti, settimane bianche, vacanze, viaggi. Che idea avete dei problemi veri delle persone? Oggi, se si è fortunati e si lavora, lo si fa sabato domenica e festivi. I nostri politici che idea hanno del Lavoro? Un’idea vecchia» – ha provato a rilanciare sempre su Twitter la Cgil nazionale incontrando il favore di una voce autorevole della direzione nazionale del Partito Democratico, Matteo Orfini, che ha commentato: «Non condivido le ragioni dello sciopero della Cgil. Ma un lavoratore che sciopera sacrifica molto. Ironizzare sulla data è un’inutile offesa».
E infatti in tanti hanno fatto notare che nella fretta di smontare le tesi dell’avversario e liquidare superficialmente la faccenda sciopero, il fronte degli anti-sindacato ha dimenticato che, per esercitare quello che ad oggi continua a essere un diritto costituzionale, i lavoratori italiani subiscono una trattenuta in busta paga. In tempi di crisi e di stipendi bassi le adesioni agli scioperi sono in calo e chi partecipa sa perfettamente che non ci sta mettendo solo la faccia, ma pure la tasca.