Approfondimenti

Il caso delle imprese napoletane che operano nel settore biotech

Gli studi di settore condotti nell’ultimo decennio hanno acclarato il persistere di un pesante gap tra il mondo della ricerca e quello dell’industria, amplificato dalla mancanza di un linguaggio comune.

Ogni anno, infatti, enti di ricerca pubblici e privati, in ogni parte del mondo, generano una mole impressionante di risultati ad altissimo valore scientifico e tecnologico, ma che, pur essendo pieni di innovazione e di potenziale interesse applicativo, nella maggioranza dei casi non riescono ad essere effettivamente impiegati in ambito industriale, perché non adeguatamente formulati per essere trasferiti ai potenziali utenti industriali in modo semplice ed immediato.

Allo stesso modo, esiste una miriade di aziende sparse in tutto il mondo che, pur operando in settori molto distanti tra loro, hanno in comune la necessità di sviluppare nuovi prodotti o soluzioni alternative o migliorative a problematiche di varia natura, che vanno dal product improvement, all’ottimizzazione delle rese produttive, dalla razionalizzazione di gestione ed utilizzo degli scarti al trattamento dei rifiuti, necessitando di soluzioni sviluppate ad hoc.

In questo contesto, da un gruppo di esperti in ambito scientifico-industriale, nasce nel 2008 la società In4Tech BioProcess S.r.l. con l’intenzione di rappresentare l’anello di congiunzione tra i risultati della ricerca e le necessità industriali, ponendosi di fatto in un ruolo di “traduttore”, tanto da conquistarsi collaborazioni con istituti di ricerca pubblici e privati ed aziende produttive operanti in vari settori. Partendo da una consolidata esperienza sulle necessità e peculiarità del mercato di riferimento sono state intraprese nel tempo numerose e ripetute iniziative con aziende di ogni parte del mondo.

Negli ultimi anni, da un’analisi quantitativa del numero di lavori proposti e/o eseguiti dalla nostra società abbiamo rilevato un capovolgimento netto del trend di distribuzione tra i Paesi Occidentali (in primis USA, Centro-Nord Europa) e quelli Orientali (Est Europa, Iran, Turchia…) con una preponderanza incentrata su Cina, Sud Corea e India.  Le economie asiatiche, rispetto al passato, stanno sempre più guadagnando terreno in moltissimi ambiti. Al di là di ciò che appartiene all’immaginario collettivo ed agli stereotipi che i media ci propongono, nella nostra esperienza imprenditoriale abbiamo avuto modo di interfacciarci molto da vicino con queste realtà, culturalmente così distanti dalla nostra, e di vederle all’opera non solo qui in Italia, ma anche in casa loro; la collaborazione diretta avuta con soggetti giapponesi, cinesi, coreani ed indiani, ci ha in primo luogo, spinto ad elaborare strategie comunicative e modalità lavorative diverse per ciascun Paese.

Sebbene, infatti, per noi occidentali l’Asia possa apparire come un unico grande contenitore, le competenze sviluppate da ciascun Paese e quindi le relative richieste di tecnologia e di know how che ci sono state sottoposte sono profondamente diverse.

Senza scendere in dettagli di natura tecnica, volendo prendere ad esempio le nostre esperienze con la Cina, la prima cosa che ci è balzata agli occhi durante i nostri soggiorni nelle varie aziende dei distretti industriali è stata la spropositata abbondanza di manodopera utilizzata per le varie attività nei cicli di produzione a fronte di tecnologie non proprio di ultima generazione, almeno se messe a confronto con ciò che comunemente troviamo in analoghe aziende italiane.

Bhé a questo punto ci si potrebbe chiedere cosa c’è di nuovo… il punto è che in questo caso ci siamo imbattuti in un’azienda farmaceutica che dovrebbe sottostare agli stessi regimi di qualità imposti in altre parti del mondo, ma che allo stato di ciò che abbiamo riscontrato, in Italia non risulterebbe idonea nemmeno ad avere l’autorizzazione sanitaria necessaria ad aprire.

Si pone, quindi, un problema di competitività impari, sia dal punto di vista degli oneri tecnologici ed infrastrutturali che le nostre aziende devono sostenere per rispettare i regimi di qualità imposti dalle normative armonizzate, sia da quello degli oneri economici che le nostre imprese devono sostenere per tutto ciò che riguarda la tutela dei lavoratori e dell’ambiente, che nel caso citato, sicuramente non sono all’altezza dei requisiti minimi a cui siamo abituati.

Ovviamente sarebbe sbagliato, se non almeno riduttivo, estendere questo discorso a tutte le realtà aziendali cinesi, tantomeno a quelle dell’intera industria asiatica; almeno nel nostro settore­ – quello delle biotecnologie industriali – i Paesi occidentali godono ancora di un vantaggio qualitativo, ma la logica dei bassi prezzi orientali e la conseguente scelta di delocalizzazione delle stesse imprese occidentali dall’altra parte del mondo, rendono questo vantaggio sempre meno consistente.

Nonostante tutte le possibili considerazioni positive o negative che si possono fare sul tema, è innegabile che bisogna continuare ad approfondire i rapporti con l’altra parte del mondo.

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