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Quale sviluppo per l’Irpinia a 34 anni dal terremoto?

C’era anche uno spezzone del video in cui un Sandro Pertini emozionato a pochi giorni dal tremendo terremoto del 23 novembre 1980 che aveva devastato l’Irpinia, la Lucania e parte del salernitano, faceva appello alla solidarietà degli italiani per aiutare quelle popolazioni, nella scaletta del convegno “Quale Pd, quale sviluppo” organizzato dal circolo democratico di Montemarano in provincia di Avellino, in vista della conferenza programmatica che vedrà il partito irpino impegnato in una intensa due giorni, il prossimo 28 e 29 novembre. Una tavola rotonda ricca di interventi che ha evidenziato ancora una volta la pluralità di un partito, quello democratico appunto, che nello scontro dialettico tra correnti ha forse il suo più grande limite, ma pure la sua più grande forza. Soprattutto quando il tema è quello dell’identità e dello sviluppo, due sfide centrali per la politica oggi. A rendere ancora più interessante questo appuntamento corale, la data del 23 novembre: a 34 anni dal tragico sisma che ha trasformato la provincia di Avellino, nel bene e nel male, in maniera irreversibile, modificando nel profondo le comunità, le relazioni umane, la vita della generazione che il terremoto l’ha vissuto in prima persona e quella di chi è venuto dopo, affrontare il tema dello sviluppo è stata occasione per riflettere e fare ammenda sugli errori del passato, ma anche per ragionare sul futuro.

«A più di 30 anni dalla scommessa dell’industria pesante portata in montagna, abbiamo il dovere di interrogarci su cosa resta, su cosa ci siamo giocati e cosa abbiamo incassato da quel modello di sviluppo, e di chiederci se regge ancora l’utopia industriale», ha spiegato Augusto Penna, responsabile provinciale Crescita – Sviluppo – Servizi Pubblici: «Non fu una scommessa completamente sbagliata perché era l’unica via possibile per avere risultati in tempi brevi, ma abbiamo legato tutto all’asset industriale. Anche per responsabilità di una sinistra più attenta al martello che alla falce. E non c’è stata adeguata selezione delle aziende che si sono insediate nelle nostre aree industriali. Oggi noi diciamo no a ipotesi di sviluppo pesante, no alle trivellazioni, e sì all’industria legata alla filiera agroalimentare, all’aerospazio, alle biotecnologie, all’industria culturale, al turismo».

Tre le proposte avanzate da Penna: spingere per affiancare al progetto pilota Alta Irpinia, il discorso delle zone franche urbane di cui anni fa già aveva parlato l’ex presidente degli Industriali irpini, Silvio Sarno; un riconoscimento che oggi si concretizza per altre realtà italiane, come quella del porto di Taranto, e che potrebbe costituire un’opportunità anche per le aree interne campane. Puntare alla riconversione di quelle aree industriali montane ridotte ormai a “fantasmi” in energy factory, passando per una riforma presso il Mise del sistema delle concessioni. Promuovere forme di turismo interprovinciale con progetti trasversali sul modello europeo.

Agli atti anche l’intervento del segretario della CNA irpina, Lucio Fierro, messo indirettamente sul banco degli imputati da Penna per il ruolo rivestito negli anni ’80. «Il rapporto Svimez dice che c’è un forte restringimento della domanda interna e la visita di Renzi alla Ema di Morra de Sanctis nei prossimi giorni conferma che non si è sbagliato a puntare sull’industrializzazione. L’errore semmai fu quello di affidarsi completamente al mercato senza aprire alle partecipazioni statali – ha spiegato Fierro – Occorre riscoprire il ruolo fondamentale dell’industria come elemento di crescita. Noi al tavolo del Patto per lo Sviluppo stiamo dicendo da anni che il corridoio VIII è un asse importante per la reindustrializzazione di Campania, Puglia e Basilicata; che servono la stazione dell’Alta Capacità e la piattaforma logistica, che in Alta Irpinia si può puntare alla green economy. Ma il fatturato di tutto il comparto vitivinicolo non raggiunge il monte valore della sola ex Irisbus».

«Il tavolo del Patto per lo Sviluppo in questi anni non ha mosso un solo euro di finanziamenti, serve solo a finire sui giornali», la risposta a stretto giro del collega di partito e presidente dell’Alto Calore Lello De Stefano. Un’altra precisazione è arrivata invece dalla consigliera regionale Rosetta D’Amelio: «L’industria agroalimentare costituisce il 17% del Pil nazionale ed è l’unico settore con il segno positivo, dobbiamo dare sostegno a chi fa impresa con l’agricoltura. Il progetto pilota Alta Irpinia dovrà essere green economy, ma pure turismo, ricettività e accoglienza». Accento sulla necessità di coniugare diritto alla salute e diritto al lavoro, che si tratti di metallurgia o si parli di agricoltura, dalla responsabile nazionale Enti Locali Valentina Paris, e dal responsabile provinciale Ambiente Mario Pagliaro. “Se si dovesse sbagliare ancora, questa volta meglio morire di fame che di tumore”.

Le divergenze e pure gli spunti insomma non mancano all’interno del PD irpino su questo argomento fondamentale per una provincia, quella di Avellino, che dopo 34 anni ancora fa fatica a passare dalla fase della ricostruzione a quella della post-ricostruzione.

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