Il fatto che una donna possa raggiungere i vertici più alti della società, in alcuni Paesi, probabilmente, non significa nulla. O almeno non esclude che sul cammino verso l’uguaglianza civile ci sia ancora tanta strada da fare. Prendiamo l’India. Indira Gandhi divenne la prima donna a ricoprire il ruolo di Primo Ministro ed è rimasta l’unica fino ad oggi. Pratibha Pali è diventata Presidente della Repubblica nel 2007, e Meira Kumar è diventata presidente del Lok Shaba due anni più tardi. In Italia non abbiamo mai avuto un Primo Ministro donna, né negli Stati Uniti o in Francia si è mai vista una donna in qualità di Presidente. Eppure, se andassimo a vedere le condizioni in cui vivono le donne, l’India si classifica come il quarto Paese più pericoloso al mondo, molto peggio di USA, Francia e dell’Italia stessa.
Arriva in questi giorni la notizia di una diciassettenne cosparsa di cherosene e data alla fiamme dai suoi stupratori, a Ludhiana, nel Punjab. La ragazza aveva denunciato i suoi tre aggressori, che erano stati così individuati e arrestati, per poi essere rilasciati in attesa del processo. Hanno pensato, nel frattempo, di vendicarsi, chiamano altri tre amici, entrano in casa di lei e la bruciano viva. Inutile dire che adesso è in condizioni gravissime. E non c’è neanche bisogno di ricordare altri episodi simili: i più si accorgeranno immediatamente che non è la prima notizia del genere ad arrivarci dalla lontana India.
Fonti storiche parlano di un remotissimo periodo in cui le donne erano venerate e rispettate al pari degli uomini. Stessi diritti e stesse possibilità di ascendere ai vertici della società per tutti, senza distinzioni di sesso. Poi, chissà, forse ad opera della colonizzazione islamica, oppure a causa di quella europea e britannica, o ancora per una diversa interpretazione dei testi sacri, le cose hanno cominciato a prendere una piega diversa, soprattutto nel Medioevo. E adesso quelle fonti che ci parlano di una condizione di uguaglianza sembrano raccontarci di un altro Paese, di un’altra terra.
Soltanto nel 2012, si sono registrati quasi 25.000 casi di violenze a sfondo sessuale in India, senza nemmeno contare quelle commesse a scapito delle propri mogli, visto che lo stupro compiuto dal coniuge, da quelle parti, non si può neanche ritenere tale. Il numero delle vittime non accenna a diminuire, anzi, è in continuo aumento, e non si può neanche calcolare l’insieme delle donne che non denunciano la violenza subita, per timore dell’umiliazione che ne deriverebbe o di un’eventuale ritorsione. Jyoti Singh Pandey fu brutalmente seviziata su un autobus da un gruppo di uomini nel 2012, morendo pochi giorni più tardi per i danni riportati. Pochi mesi fa, a maggio, due minorenni, di 14 e 16 anni, furono ritrovate morte, appese ad un albero, dopo essere state anch’esse violentate. Né queste cose accadono solo alle donne del luogo: altrettanto numerosi sono pure i casi in cui la vittima è una donna straniera, magari una turista, che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato.
C’è chi vorrebbe spiegare la questione delle violenze sessuali ricorrendo al concetto di casta, e probabilmente è così. La casta è l’esempio più evidente di come la cultura indiana si regga tutta su un gioco di gradini e scale sociali, di predomini e di inferiorità presunte, in cui chi si trova al vertice della piramide può sentirsi legittimato a disporre come vuole degli individui collocati negli strati più bassi della società, stranieri inclusi, avendo dalla sua l’appoggio della giustizia e delle forze dell’ordine, e l’autorizzazione di una mentalità segnata da secoli di storia all’insegna del maschilismo e del patriarcato. In ogni angolo del Paese, l’India e le sue donne vengono ogni giorno sfregiate dalla piaga della sottomissione e della repressione, che si tramuta in cultura della violenza, delle minacce, della paura, dello stupro.
Secondo l’indiano National Crime Records Bureau, frequentissimi, e in alcuni casi addirittura numericamente superiori, sono i casi di sequestro, di aggressione con l’acido, di assassinii legati alla dote, prostituzione, lavoro minorile e violenze psicologiche perpetrate dai familiari. Il che vuol dire che ogni giorno, in India, ci sono centinaia di donne che urlano e soffrono, e qualcuno che resta a guardare senza fare niente.