Officina delle idee

Il grillismo, malattia infantile del renzismo

di Ernesto Nocera

 

L’ultima novità organizzativa del PD è il regolamento per la costituzione dei circoli on line. Proprio così. La condizione per la costituzione è la presentazione di una richiesta da parte di 20 persone (attenzione!), espressione di almeno quattro province, corredata dell’indicazione di un referente e di un suo vicario.

La tesi implicita in queste norme è che il territorio è escluso (almeno 4 province!). Quindi questi circoli nel migliore dei casi sostituiscono il cazzeggio di Facebook, nel peggiore serviranno da alibi per la costruzione di ipotesi politiche che il corpo reale del partito non accetta e che saranno giustificate dalla volontà della rete, a parere degli ispiratori di tale norma, paradigma di ogni possibile democrazia. Grillismo new age con un modello un po’ più rozzo dell’originale.

Il bello è che gli estensori del regolamento sanno così bene che è foriero di imbrogli che, mettendo le mani avanti, sostengono al comma c) dell’articolo 3 che: «l’area organizzazione… accerta che il costituendo Circolo non implichi una surrettizia violazione del criterio di unicità affermato dall’art.14 dello Statuto per i Circoli d’ambiente e territoriali».

Sovrapporremo quindi ai circoli territoriali, che si accollano la fatica di relazionarsi col territorio e i cittadini, una bella rete di sorgenti di chiacchiere fatta da persone (?) distribuite in giro per l’Italia, magari uno a Siracusa e l’altro a Milano così non c’è il caso che si incontrino fisicamente. Persone che in nome della pervasività della rete potranno condizionare le scelte del partito, rendendole magari più congrue al pensiero unico che si vuole imporre.

Alcuni attenti analisti (Evgheny Morozov ad esempio) sollevano forti dubbi sulla intrinseca “democraticità” della rete preoccupandosi molto della possibilità di controllo reale esterno che essa implica. A mò d’esempio voglio ricordare che Bush vinse la presidenza contro Al Gore grazie ai risultati del Texas, l’unico stato che votò col sistema elettronico. Per puro caso il governatore di quella stato era Jebb Bush che del presidente era il fratellino minore. Oppure quello che è recentemente accaduto a Hong Kong  dove il governo cinese, lanciando una app più facile da usare, controllava tutti i contestatori acquisendone i dati identificativi  a fini repressivi. Esempio seguito da altri governi (Iran ad esempio) che controllando la rete controllano l’esistenza di possibili oppositori.

Non è il nostro, caso ma la possibilità implicita di una manipolazione  possibile. E’ possibile, ad esempio, che se la dirigenza del partito si trova in difficoltà, attivi facilmente, tramite persone fidate, una rete dei circoli on line che creino un’ atmosfera, un “environment” apparentemente favorevole alla sue posizioni. Qualcuno osserverà che anche l’opposizione potrebbe muoversi in tal senso dimenticando che la facoltà di accredito appartiene al centro. Anche a voler scartare la cultura del sospetto resta comunque vero che tale scelta indebolisce il ruolo dei territori.

Ma fa proprio così paura? Qualche sera fa ho partecipato nella sede nel mio circolo a una appassionata discussione sulla possibilità di metter in piedi una attività di “coworking” chiedendo al Comune l’utilizzo di un edificio dimesso. C’erano giovani professionisti, l’assessore comunale al Lavoro, cittadini comuni interessati alle possibilità di sviluppo della città e molti giovani (io ero presente solo per aumentare l’età media). A mio parere non c’è rete o web che tenga di fronte al fervore della discussione, il tono delle voci, la vivacità degli scambi e dell’argomentare che davano il senso di una comunità.

Dietro l’apparente modernità della iniziativa dei circoli on line vi è una possibilità di controllo che mette in discussione la democrazia interna poiché tende ad attenuare i contrasti e a creare una coerenza di pensiero unico che garantisca alla dirigenza una vita tranquilla e alla base il solo diritto al mugugno. Il professor Sergio Fabbrini, direttore della School of Government della LUISS, nel suo libro “L’America e i suoi critici”  dice appunto: «La democrazia si basa su contraddizioni (come è proprio che avvenga in società aperte) piuttosto che su coerenze (come pretendono le società chiuse). Sopprimere le contraddizioni vuol dire ostacolare gli antagonismi attraverso l’imposizione di una coerenza stringente fondata sull’elevazione dell’identità  nazionale  a ideologia esclusiva».

Un partito che reca nel suo nome la titolazione di “democratico” per analogia non può imporre coerenze stringenti nel definire la sua identità servendosi di uno schema organizzativo ”liquido” che indebolendo le strutture intermedie e territoriali lasciano di fatto il potere nel ristretto gruppo centrale  e in particolare nelle mani del segretario generale.

Proprio perché è necessario essere un partito aperto, la sua struttura organizzata sia solida e legata ai territori. E’ lo strumento essenziale per evitare al partito un’uniformità sociale e garantire al suo interno la presenza degli strati popolari e di quelli intellettuali, dei lavoratori, precari o no, e della cultura. Un partito che faccia la scelta di rappresentare i ceti che impersonano la volontà di cambiamento, che scelga gli interessi sociali che vuole difendere e che proprio perciò non può essere equivocamente generalista o peggio ancora “nazionale”.

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