In Italia la giustizia non è uguale per tutti, questo è soltanto un fine, un ideale che bisognerebbe raggiungere. E’ con questa premessa che ha avuto luogo, in diretta su Radio Club 91 per la trasmissione “Dentro i fatti” di Samuele Ciambriello, il dibattito tra il Magistrato Tullio Morello, il cappellano del carcere di Lauro Padre Carlo De Angelis e il presidente della Comunità di S. Egidio a Napoli Antonio Mattone.
Il carcere è un ambiente molto complesso e i soggetti che vi “abitano” andrebbero curati e non penalizzati ulteriormente. In Italia – ha confermato Padre Carlo De Angelis – il numero di immigrati e tossicodipendenti che riempiono gli istituti penitenziari è davvero elevato, in altri Paesi del mondo la tossicodipendenza è una malattia. I soggetti “affetti” da questa “patologia” hanno bisogno di un sostengo continuo.
Recuperare i detenuti, sostenerli, formarli e rieducarli attraverso l’aiuto di operatori sociali, anche fuori dalle celle… in luoghi alternativi ai centri di detenzione: è questo il punto su cui si sofferma il cappellano di Lauro per una giustizia più giusta.
Magistrato Morello, conferma queste amare considerazioni avanzate da Padre Carlo De Angelis?
«Certo, purtroppo a soffrire sono sempre le persone che si trovano ai margini della società, persone che sbagliano per mancanza di risorse economiche. Secondo Morello il carcere dovrebbe tornare ad essere il luogo di rieducazione del condannato proprio dice la Costituzione italiana, ma questo purtroppo non avviene».
Nelle carceri la rieducazione è lasciata nelle mani dei volontari che si ritrovano a svolgere un compito estremamente importante e i tempi della giustizia diventano sempre più lunghi. Perché, questi tempi così lunghi Magistrato Morello?
«I tempi lunghi scaturiscono principalmente da due questioni: da un lato i processi sono tantissimi (meno casi dovrebbero diventare processi), dall’altro lato il processo è diventato una sorta di Gioco dell’Oca, si avanza di 3-4 caselle per poi ritornare indietro».
Antonio Mattone, responsabile della comunità di S. Egidio a Napoli, si sofferma sull’importanza della figura assistenziale e del sostegno ai detenuti. La sua opinione, la sua testimonianza, è in piena sintonia con le parole di padre Carlo.
Antonio Mattone, da Responsabile della Comunità di S. Egidio, secondo Lei, al fine di essere uguale per tutti, da cosa deve ripartire la Giustizia?
«Certamente bisogna ripartire da incentivi che permettano ai detenuti, una volta usciti, di mostrarsi davvero come persone cambiate e per farlo bisogna rafforzare il ruolo e la presenza di figure quali educatori e sociologi»
Mattone, come andare oltre le mura dell’indifferenza? Cosa sta preparando la comunità di S. Egidio per i detenuti in prossimità del Natale?
«Per abbattere le barriere dell’indifferenza, bisogna fare una grande operazione culturale: in carcere ci sono persone che vanno recuperate, non bisogna avere paura di incontrare questi soggetti. Noi della comunità di S. Egidio siamo presenti nelle carceri tutto l’anno e per Natale abbiamo organizzato ben 8 pranzi in cui coinvolgeremo stranieri e altri detenuti che non hanno possibilità di colloqui.»
Altro tema fondamentale in questo momento delicato è la corruzione, serve una legge al più presto.
Morello, su questo argomento cosa propongono i magistrati?
«Certamente la legge attuale è inadeguata e si resta anche un po’ sconcertati dalle parole che si sentono dalla politica in questi giorni. Per tanti anni sono state fatte leggi che hanno favorito i corrotti e la mancata punizione della correzione».
Su 57 mila detenuti i Italia 600 sono in carcere per reati di corruzione, in Germania sono circa 6.000. Questo non vuol dire che i magistrati non mandano i corrotti in carcere, mancano semplicemente le leggi…
«L’opinione pubblica deve capire che è importante denunciare, la corruzione c’è se c’è qualcuno che alla fine corrompe: trovare coraggio di denunciare è un tassello importante del senso civico, che deve crescere e che in Italia lascia molto a desiderare. I dati sono inquietanti: l’Italia è uno dei paesi con il più alto tasso di corruzione»