di Massimo Lo Cicero
L’economia del mondo contemporaneo è molto cambiata negli ultimi venticinque anni: nell’ultima decade del ventesimo secolo, e nei primi quindici anni del secolo in cui viviamo, sono accaduti tre fenomeni globali che hanno letteralmente ribaltato il modo di fare impresa e gli strumenti per governare le imprese.
Negli ultimi dieci anni del novecento la rivoluzione digitale ha allargato gli strumenti della comunicazione ed ha progressivamente destrutturato la relazione tradizionale tra spazio e tempo. Le imprese erano strutture gerarchiche verticali, piramidi dalle basi larghe e distanze notevoli tra la base ed il vertice: grazie ad una scala di operai, impiegati, quadri, funzionari, dirigenti intermedi ed alti dirigenti. Erano chiude in se stesse: impermeabili alle innovazioni che il sistema economico proponeva, chiuse nei perimetri del proprio confine. Le risorse umane migliori rendevano spesso incontinenti le imprese stesse, perché la rigidità dello stile aziendale, e la pesantezza della stratificazione che conduceva ai top manager, cristallizzavano e paralizzavano la possibilità del cambiamento interno e degli stili di comportamento aziendale. Le imprese, dopo la rivoluzione digitale, hanno accorciato molto la distanza management.
Sono diventati obsoleti molti strumenti di trasferimento intermedio tra il vertice e la base delle organizzazioni, pubbliche o private. I privati lo hanno fatto meglio e prima. Sono venute meno le mura che cingevano il perimetro aziendale. Oggi, la comunicazione attraversa i confini tra impresa e mercati, tra impresa ed altre istituzioni. Al fianco del capo azienda ci sono l’uomo della finanza strategica ed il responsabile delle relazioni istituzionali. Non si parla più di Stato & Mercato, un antagonismo ideologico nel quale non si riesce a capire come si possa realizzare una relazione affidabile tra l’impresa ed i due termini antagonisti del dilemma. L’impresa contemporanea condivide oggi con entrambi, l’ambiente economico e le organizzazioni diverse dalle imprese, il contenuto e la prospettiva da raggiungere dei propri piani strategici. Gerarchia & Scambio sono i perni di un sistema, che consente alle organizzazioni di condividere e realizzare i progetti che sviluppa al proprio interno (la dimensione della gerarchia), ed offre a chi intende proporre lo scambio reciproco di merci, servizi, esperienze e compiti operativi.
La rivoluzione digitale ha creato un sistema di connessioni che agiscono tra persona e persona, tra le persone come reti di collegamento e condivisione del valore da produrre, tra gerarchie e tra gerarchia e persone. La seconda trasformazione radicale è la scoperta della finanza derivata e la rivisitazione della finanza: Paul Samuelson, un grande economista degli anni cinquanta, affermava alla fine del secolo scorso che la finanza non è più una branca dell’economia, ma che ha una sua costituzione propria ed un’identità affermata. Oggi, sappiamo distinguere il rischio, che noi generiamo perché agiamo senza conoscere pienamente le conseguenze delle nostre azioni, dall’incertezza. Che è l’insieme di informazione mancata e di opportunismo, da parte di chi sfrutta l’azione e l’informazione nascosta agli altri, che ci impedisce di conoscere pienamente le conseguenze della nostra azione.
La finanza dei derivati è un potente strumento per convivere con l’incertezza: l’opportunismo di banche ed entità finanziarie che utilizzano i derivati per il proprio interesse, e non per far funzionare meglio il sistema, è uno dei mali da aggredire e reprimere. Sappiamo che la moneta è la chiave di volta tra i mercati dei beni e dei servizi e quelli delle attività finanziarie, di ogni genere e tipo. La regolamentazione delle banche, della competizione, dell’energia o delle telecomunicazioni, deve essere approfondita ed affinata. Perché spesso i regolamentatori si fanno catturare da coloro che dovrebbero regolare: in particolare quando le imprese diventano troppo grandi e potenti e le banche troppo grandi per fallire. In questo nuovo contesto si apre una terza rivoluzione. Crescono le nazioni che sono emergenti e che hanno abbandonato, ma non del tutto, un approccio gerarchico pesante e non hanno ancora trovato le strade di una democrazia adeguata: la Cina e l’India, la Russia ed il Brasile.
Le economie avanzate, cioè gli Stati Uniti e l’Europa marciano, invece, lungo una scia diseguale. La seconda non riesce a riscattarsi dalla crisi del 2008/2009 e si mantiene su un profilo stagnante e recessivo, l’inflazione è scomparsa e si profila lo spettro minaccioso della deflazione. La prima, gli Stati Uniti, ha ripreso la strada della crescita e le banche americane sembrano oggi più robuste di quelle europee. Anche perché alle banche si affiancano i mercati finanziari e non tutto il peso dell’intermediazione, tra risparmio ed investimento, si deve caricare sulle spalle delle banche, come accadde nel vecchio continente.
L’Europa presenta due problemi scabrosi: deve riordinare le modalità della moneta unica ed allargare alle politiche di bilancio ed alla politica monetaria, ma anche ai mercati finanziari ed ai mercati del lavoro, un coordinamento unitario delle proprie strategie. Bisogna superare la catena dei Capi di Stato e di Governo, che condizionano, con la forza dei loro Stati nazionali il destino dell’Europa, in una rete di regimi incrociati. E costruire davvero una giurisdizione plurale ed una capacità di coordinamento tra i popoli dell’Europa e le loro nazioni. Il secondo problema scabroso è la pretesa dell’Europa di opporsi agli Stati Uniti su molti terreni. La verità è che l’occidente cresce, si espande e crea nuovi valori, quando agisce in regime cooperativo tra le due sponde dell’Atlantico. Un’Europa che divorzi dal legame atlantico con gli Stati Uniti diventerebbe quasi subito una penisola dell’Asia, in particolare della Russia e dei suoi satelliti. Non conviene questo esito agli Europei.
Questo turbine di cambiamenti, negli ultimi venticinque anni lascia alle sue spalle la crisi del Fordismo e del Toyotismo: le grandi strutture industriali autosufficienti e capaci di tenere testa agli stessi Stati. Con la loro scomparsa, e la nascita delle imprese piatte e senza perimetri definiti sul proprio confine, scompare progressivamente anche la figura dell’operaio come strumento. Una condizione che non è quella di un uomo che governa le macchine. Quell’operaio del fordismo era solo un tassello delle catene tecnologiche, incluso in quei processi che perdeva la sua identità personale, il controllo dei suoi diritti e la responsabilità dei propri doveri. Il lavoro è molto cambiato, non solo perché ci sono in giro moltissimi lavori diversi che solo dieci anni prima non avremmo saputo rintracciare in nessun luogo. Ma perché sta cambiando la percezione del se ed ognuno di noi deve saper costruire il proprio profilo e la propria relazione con le gerarchie e gli scambi. Siamo sempre più individui, persone, non numeri da cumulare. Se l’Europa è ferma l’Italia lo è ancora di più: cristallizzata tra gruppi di pressione e disordine entropico.
Gravida di giovani disoccupati, periferie degradate, sfarinamento della pubblica amministrazione, moltiplicazione ridondante di Regioni, Comuni ed enti pubblici. Un Paese dove si trovano molte delle innovazioni descritte in queste poche pagine ma che sono costrette e vivere con il disordine, l’entropia crescente, di un passato che rimane impotente e non riesce a trasformarsi in un futuro convincente.