Cultura

Ciccolini, nessuno è profeta in Patria

Nato a Napoli, avrebbe compiuto 90 anni il prossimo 15 agosto. Aldo Ciccolini aveva studiato al conservatorio di ‘San Pietro a Majella’ dove era stato ammesso a nove anni grazie alla grande considerazione che di lui aveva l’allora direttore Francesco Cilea. Si era da tempo trasferito in Francia dove aveva ottenuto la legion d’onore per i suoi meriti artistici. Un interprete celebre che ha promosso soprattutto la conoscenza della musica per pianoforte dei compositori francesi, noti e meno noti: Maurice Ravel, Claude Debussy, Jules Massenet… D’altissimo livello le sue interpretazioni della musica di Franz Liszt e delle composizioni pianistiche di Mario Castelnuovo-Tedesco.

«Avevo cinque anni e in ogni istante il bisogno di musica già mi riempiva la vita» usava dire. Cittadino francese dal 1969, ha insegnato al Conservatoire de Paris dal 1970 al 1988, scoprendo la sua vocazione di didatta a cui è rimasto sempre fedele e dedicandosi con rigore e generosità alla formazione delle nuove generazioni. Nemico d’ogni concessione ai gusti del giorno, insensibile ai giochi mediatici, Ciccolini considerava l’arte musicale come una missione.

«In Italia la musica è considerata un hobby e non una professione, ai giovani che vogliono fare musica in Italia dico solo una cosa, anzi faccio mia un’espressione di Eduardo de Filippo: jatevenne!», questo un amaro sfogo del grande Maestro. Nel libro “Conversazioni con Aldo Ciccolini”, edizioni Curci, alla domanda del perché si era trasferito in Francia da giovanissimo, egli risponde con la franchezza che gli era ampiamente riconosciuta e con un pizzico di amarezza, pur se quella scelta lo portò a calcare i più grandi palcoscenici mondiali e a trionfi che ne attestarono la grandezza assoluta nel suo genere.

«Mi fu fatto uno sgarbo al conservatorio di Napoli dove avevo ottenuto una cattedra dopo molte peripezie, ma fui scavalcato da un altro candidato senza titoli. Il lavoro era importante dato che mio padre era morto presto e dovevo mantenere la famiglia. Fu proprio a quello sgarbo che mia madre reagì, dotata di un intuito straordinario, e mi disse “jammuncemme”.

Mi iscrisse al concorso Long-Thibaud a Parigi. Nella peggiore delle ipotesi avrei fatto un bel viaggio esibendomi di fronte a grandi musicisti. Invece vinsi il primo premio e da lì cominciò immediatamente la carriera concertistica. All’insegnamento tornai più tardi, sempre in Francia negli anni ’70 grazie all’insistenza del ministro della cultura di allora. Io obiettai che non ero cittadino francese e non potevo insegnare al Conservatorio di Parigi. In pochi giorni mi arrivò il passaporto! Premetto che sono legato all’Italia, ma oggi un giovane esecutore non ha spazio in un ambiente che è ormai in declino. Faccio tante masterclass: noto allievi che dovrebbero esercitare un altro mestiere e altri dotatissimi che difficilmente troveranno spazio. La ragione è semplice: qui la musica, che ritengo sia un insieme di progresso, civiltà e spiritualità, è considerata un hobby e non una professione».

Tra i numerosissimi premi, vanno ricordati il Prix Edison dell’Académie Charles Cros, il Premio della National Academy of Recordings Arts negli USA e ben tre volte il Grand Prix du Disque in Francia. Nel 2002 ricevette il Diapason d’Or per l’integrale di Janàcek, per Schumann e nell’ottobre 2003 per i Notturni di Chopin. Il 23 novembre 2005 a Roma ricevette il Premio Vittorio De Sica. Nel 2008 fu nominato commendatore dell’Ordine nazionale francese al merito.

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