Quando si parla di rapporto di filiazione o di genitorialità, inevitabilmente si parla di comunicazione: riuscire a comunicare ad una coppia che non sarà mai nella condizione di poter concepire biologicamente un bambino; comunicare al proprio partner di desiderare di adottare un bambino, anche se in famiglia ve ne sono già; trovare le parole giuste per comunicare al proprio figlio che è stato adottato, raccontandogli una storia che comincia dalla sua nascita ed arriva gradualmente al momento del suo arrivo nella nuova famiglia. Quando poi si tratta di un bambino che proviene da un paese straniero, allora tutto diviene più complesso e articolato, a causa del differente panorama sociale, emotivo, culturale, etnico e relazionale. L’adozione internazionale è uno strumento giuridico che permette l’incontro tra un bisogno ed un desiderio: quello di un bambino in stato di abbandono, che non può trovare, nel suo paese, una famiglia che lo accolga e si prenda cura di lui e che, senza il ricorso all’adozione dall’estero, sarebbe destinato a crescere in istituto o sulla strada; e quello di una coppia di coniugi che aspirano a diventare genitori e che sono disposti ad accogliere un figlio di etnia e nazionalità diverse. All’interno di un rapporto di filiazione adottiva internazionale si inserisce quindi un elemento in più, quello etnico, dato che il bambino che entra a far parte del nuovo nucleo familiare proviene da un paese straniero ed è portatore di un’etnia e una cultura differenti.
Genitori si nasce o si diventa? Tra genitore biologico e genitore adottivo c’è differenza? Queste sono due delle tante domande che le coppie aspiranti adottive pongono spesso alle figure professionali che si occupano della loro valutazione sociale e psicologica. Questi ed altri sono gli interrogativi che caratterizzano la motivazione adozionale e che necessitano di un percorso di formazione e informazione, finalizzato all’acquisizione di una maggiore consapevolezza nella scelta della genitorialità adottiva. Oggi, non esiste il certificato o la patente del genitore perfetto, che si ottiene nel momento in cui giunge in famiglia un bambino, sia esso naturale o adottato. Essere genitori è un percorso caratterizzato da un insieme di elementi da imparare e da sapere, che servono a conoscere meglio se stessi e i propri figli. I genitori sono quelli che allevano i figli, aiutandoli a diventare buoni adulti. Questo è il tipo di genitore che ognuno, se vuole, può diventare, perché non si è genitori soltanto dei figli, ma si può esserlo per ogni essere umano che si incontra sulla propria strada. Per comprendere più a fondo le problematiche che le famiglie incontrano durante quel delicato momento di transizione alla genitorialità adottiva nei confronti di un bambino straniero, è stato condotto, nell’anno 2014, un lavoro di ricerca/studio sugli strumenti operativi introdotti dalla normativa vigente in materia di adozioni internazionali nella Provincia di Salerno, quali le linee guida regionali del 2002, le linee guida recepite dal Tribunale per i Minorenni del 2003 e il protocollo operativo istituito nello stesso anno, e sulla loro concreta ricaduta sui principali soggetti coinvolti in tale percorso, ossia quelli istituzionali, come il Tribunale per i Minorenni, i Servizi Sociali Territoriali/Equipe SAAT, gli Enti Autorizzati, e quelli principali, ovvero le famiglie adottive e i bambini adottati. Sono state prese in considerazione tutte le procedure adottive concluse nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre
2013 nella Provincia di Salerno, per un totale di 65 bambini, di cui 32 maschi e 33 femmine, provenienti dal Brasile, Russia, Ucraina, Bulgaria, Bielorussia, Congo Mali, Vietnam, Cina, Etiopia, Senegal. Attraverso la somministrazione di 84 questionari e 13 interviste semi-strutturate, è stato possibile raccogliere dati quantitativi e informazioni qualitative sulla concreta applicazione degli strumenti operativi da parte dei soggetti istituzionali, quali i Servizi Sociali Territoriali/Equipe SAAT e il Tribunale per i Minorenni, gli Enti Autorizzati un po’ meno nel periodo del post-adozione, i quali, in materia di adozioni internazionali, svolgono la propria attività con competenza e professionalità; relativamente alle famiglie, la differenza è
emersa sostanziale tra il periodo pre e post adozione, significando come durante il periodo che precede l’adozione, le famiglie percepiscono una buona qualità delle informazioni e della preparazione da parte dei soggetti pubblici, un buon livello di collaborazione tra pubblico e privato, un buon accompagnamento da parte degli Enti Autorizzati durante la fase dell’abbinamento, supporto che va a diminuire nella fase del post-adozione, ovvero quella più delicata, dalla quale dipende il buon esito di tutto il percorso adottivo, la fase in cui si rilevano i bisogni prevalenti della nuova famiglia, quella fase delicata in cui si costruisce la relazione di attaccamento tra genitori e figli. Ecco perché comunicare l’adozione, perché tutti i soggetti istituzionali, pubblici e privati, coinvolti nelle procedure adottive, dovrebbero saper comunicare tra loro in ogni momento del percorso, ovvero quando la coppia viene informata, formata e valutata, riceve l’idoneità dal Tribunale per i Minorenni, conferisce mandato all’Ente Autorizzato, è in attesa di abbinamento, parte per l’estero ma per un abbinamento fallito torna a casa a “mani vuote”, quando attende un altro abbinamento,
quando parte per andare il proprio bambino e torna a casa con tre fratellini, quando deve iscrivere il proprio figlio a scuola o scegliere il pediatra di base. Questi sono tutti momenti molto delicati del percorso adottivo e se i soggetti istituzionali cointeressati non utilizzano un unico canale di comunicazione, una procedura operativa univoca, che faccia sentire le famiglie giustamente accompagnate nel loro percorso, questo potrebbe compromettere, anche gravemente, la buona riuscita di un’adozione internazionale.