Diciamo la verità, della Nigeria ce n’eravamo dimenticati tutti, nonostante già da tempo sapessimo degli attentati dei fondamentalisti nel Paese. La nostra attenzione, però, dell’Italia, dell’Europa e forse anche del resto del mondo, era assorbita dalla crisi economica, dalle vicende della più vicina Ucraina, dai barconi degli immigrati e dallo sconquasso del tormentato Medio Oriente. Anche perché, da sempre, quando pensiamo all’Africa la nostra mente va all’Egitto, alla Libia, al Marocco, come se al di sotto del Sahara non ci fosse nulla.
Alla Nigeria abbiamo concesso la nostra attenzione quasi per caso quando, dopo i famigerati fatti di Parigi, qualcuno faceva notare, specialmente sui social, che il mondo intero stava marciando per Charlie Hebdo mentre per le vittime nigeriane neanche un passo.
Si è parlato di 2000 vittime, forse invece erano “soltanto” alcune centinaia, ad ogni modo un omicidio di massa. Un massacro, per chiamarlo col suo nome, quello che è stato perpetrato agli inizi di gennaio nel nord-est della Nigeria, con la conseguente distruzione di interi villaggi. Qualche giorno dopo, un altro attentato in Camerun. Ancora un paio di settimane, e un altro attacco.
L’organizzazione terroristica di Boko Haram è senza alcun dubbio un serio problema, e i suoi crimini sono di un’efferatezza che lascia i brividi sulla pelle. Ma parlare di Boko Haram e della Nigeria probabilmente non ha alcun senso se non si getta contemporaneamente un occhio all’intero continente. Esiste un altro gruppo, in Somalia, chiamato Al-Shabaab, che mira all’instaurazione di un regime basato sulla Legge di Dio, e che non ha nessuno scrupolo su come quella regola vada attuata. Pochissimi giorni fa, a Mogadiscio, la capitale somala, hanno fatto scoppiare un’autobomba davanti a un albergo nel centro della città, mentre un altro kamikaze si faceva saltare in aria. L’obiettivo erano gli uomini del governo che si trovavano all’interno dell’edificio (e tra le vittime, infatti, si registrano un deputato e il vice-sindaco). Non era il primo attentato in questa città da parte dell’organizzazione affiliata di Al-Qaida, né la Somalia è l’unico Stato nel mirino. Aggiungeteci il Kenya, i cui frequenti attacchi terroristici ne fanno una meta sempre meno sicura per i viaggiatori, e aggiungeteci anche l’Eritrea, l’Etiopia, e insomma un po’ tutta l’Africa centrale, dove le violenze e gli eccidi sono diventati ormai di casa.
Fa riflettere il fatto che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non solo stiamo parlando di organizzazioni terroristiche hanno subito negli ultimi tempi un aumento nel numero delle defezioni e un calo di potere, ma anche i cristiani sono in forte crescita. Sembra che, quanti più africani si facciano battezzare come cristiani, cattolici e non, nel continente, tanto più i terroristi diventano spietati e agguerriti. E forse non si sbaglia nel ritenere che le loro azioni suscitano tra la popolazione civile proprio l’effetto contrario di spingerla dall’altra parte. Il fondamentalismo islamico in Africa sta conoscendo di questi tempi un’evoluzione tinta soltanto di nero come il buio in cui rischia di precipitare la popolazione locale, e di rosso, come il sangue delle vittime che vengono lasciate lungo la strada. Non meno impressionante è il fatto che chi sta dall’altra parte (e non solo gli occidentali) fatica a comprendere le strutture di questi gruppi di integralisti violenti, le loro gerarchie, da chi vengano sovvenzionati, e finanche gli obiettivi. Dire che vogliono creare uno Stato islamico basato sul rispetto assoluto del loro credo religioso pare alquanto riduttivo. Magari non è questione di obiettivi, ma è questione di cultura, ed è lì che si dovrebbe indagare, e sul motivo per cui l’Africa, per conquistare i suoi traguardi, di qualunque natura siano, ricorre sempre alla via della forza e della brutalità e mai a quella della democrazia pacifica.