La Crypta Neapolitana, chiamata anche Grotta di Posillipo o Grotta di Virgilio, è una galleria lunga più di 700 metri e scavata nel tufo della collina di Posillipo, tra Mergellina e Fuorigrotta, un luogo ricco di fascino e di mistero.
L’ingresso principale della grotta si trova nell’attuale Parco della tomba di Virgilio, parco Vergiliano a Piedigrotta (sede anche della tomba di Giacomo Leopardi).
Secondo la leggenda, qui ritroviamo le origini della festa di Piedigrotta e fu proprio Virgilio a scavare la Grotta con i suoi poteri magici in una sola notte.
In realtà, come ci narra Strabone, fu realizzata da Lucio Cocceio Aucto per volere di Marco Vipsanio Agrippa, come parte di una rete di infrastrutture militari comprendenti anche il Portus Iulius e altre gallerie simili (le cosiddette Grotta di Cocceio e Crypta Romana) per permettere alle truppe di raggiungere Puteoli da Neapolis senza passare per la più lunga “Via Antiniana per colles”, che giungeva a Fuorigrotta risalendo la collina del Vomero; ma anche questo fatto storico alimentò una leggenda, secondo la quale Cocceio avrebbe utilizzato centomila uomini per scavare la galleria in soli quindici giorni.
Imponente opera di ingegneria, la galleria continuò a stupire e meravigliare anche nei secoli successivi, come testimoniano le leggende tramandate sulla sua costruzione; per quanto artificiale, la crypta attingeva ed attinge anche alla forte valenza simbolica della caverna, simbolo materno e uterino, del passaggio tra la morte e la vita, tra la luce e il buio.
Secondo Petronio, la crypta nel I secolo era consacrata a Priapo, dio della fertilità, in onore del quale vi si celebravano nottetempo cerimonie misteriche e riti orgiastici; pare anche che in età magno-greca, nella crypta si celebrassero feste in onore di Afrodite, durante le quali vergini e spose infeconde partecipavano ad oscene pratiche propiziatorie.
Anche qui si tratta di pure supposizioni forse tramandate e mai confortate da prove consistenti.
Supposizioni diverse si ebbero durante i lavori eseguiti sotto la dominazione spagnola, quando fu ritrovato un bassorilievo rappresentante Mitra Tauroctono tra il sole e la luna, datato intorno al III-IV secolo, ora conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli; tale ritrovamento lascia supporre che la crypta fosse utilizzata come mitreo, ove si celebravano riti in onore di Mitra. Come fonte di purificazione, prescritta dal culto, nei pressi della crypta erano presenti pozzi e balnea (parallelamente alla galleria carrabile correva una seconda galleria, con una sezione di un paio di metri quadrati, che portava l’acqua dall’acquedotto del Serino alle installazioni militari flegree, fino alla piscina mirabilis di Misero). La galleria poi è orientata in modo tale che in occasione degli equinozi il sole fosse perfettamente allineato tra i due ingressi all’alba e al tramonto, così che in quei momenti la galleria, nella quale solitamente regnava un buio profondo, risplendesse invasa dalla luce naturale.
Questo fenomeno aumentò il mistero: si riteneva che una sorta di maleficio si sarebbe abbattuto su chi provasse ad attraversarla da solo di notte, ma allo stesso tempo compiere l’attraversamento ed uscirne indenni era ritenuto un presagio fausto.
I riti legati al culto di Mitra furono sostituiti dai riti del Cristianesimo. Nel Trecento i registri angioini, nonché testimonianze di Tetrarca, riferiscono del culto della Madonna della Grotta, una cui icona si conserva ancora oggi affrescata nella crypta, in una cappella rupestre costruita sui resti del sacello di Priapo, che diventò oggetto di una straordinaria devozione popolare, fino alla costruzione della chiesa di Santa Maria di Piedigrotta proprio davanti all’ingresso della crypta.
Per scongiurare il riavvicinarsi delle credenze pagane, furono installati al di fuori della Crypta degli affreschi: una Madonna con Bambino in braccio che è visibile anche dal basso, sul muro sinistro – inserita nel 1353 da Don Pedro di Toledo durante i suoi riassestamenti territoriali per scongiurare anche i riti orgiastici in nome di Priapo; un santo (probabilmente San Luca) che è posto sulla parete destra, visibile però attraversando il cunicolo più piccolo dell’acquedotto romano, che corre parallelo alla Crypta vera e propria.
Negli ultimi secoli (il tunnel tra Mergellina e Fuorigrotta rimase aperto fino al 1929) i fedeli veneravano la Vergine Maria.
Descritta da Seneca come angusta e buia, la grotta subì diverse modifiche ed allargamenti. Nel 1455 il re di Napoli Alfonso V d’Aragona, per rendere meno ripido il pendio d’accesso da Mergellina, fece abbassare il piano di calpestio di undici metri dalla parte orientale e di un paio di metri dalla parte occidentale; nel 1548 il viceré don Pedro di Toledo la fece allargare e pavimentare; nel 1748 fu necessario un consolidamento, fatto eseguire da Carlo di Borbone; nei primi anni dell’Ottocento, Giuseppe Bonaparte ordinò un ulteriore consolidamento e dotò la galleria di un sistema di illuminazione con lampade ad olio.
Sul finire dell’Ottocento, l’antica galleria fu nuovamente restaurata ed illuminata, ma i rimaneggiamenti subiti nel tempo hanno comportato gravi cedimenti della struttura e la necessità di chiudere con un terrapieno la via che saliva diretta all’ingresso, così com’è nota nelle raffigurazioni d’epoca, con la creazione di un percorso curvilineo che ora sale con più rampe verso l’entrata della grotta.
Alla relazione con la galleria si deve l’origine del nome di due quartieri di Napoli: Piedigrotta, al di qua e ai piedi della grotta (il cui ingresso orientale prima dell’intervento di Alfonso V d’Aragona si trovava come detto diversi metri sopra il livello stradale), e Fuorigrotta, di là dalla grotta.
Alessandro Dumas nel suo “Corricolo” racconta un episodio accadutogli nella grotta: essendosi rotta una ruota della carrozza che trasportava lo scrittore francese, il cocchiere dovette fermarsi lì. al buio, per eseguire la riparazione; subito dopo, riattaccato il cavallo alle stanghe, il cocchiere non riusciva ad ottenere che il quadrupede ripartisse. Discese, allora, e, tentoni, cercò di rendersi conto di cosa fosse accaduto. Infine, rivolto a Dumas gridò: “O cavallo ‘a perso ‘a capa!”. In realtà, al buio, il cocchiere aveva attaccato la bestia al contrario.
Nel 1645 John Evelyn, nel suo “Diario” scrisse: “Così, con non lieve stupore, uscimmo dalle viscere della terra per ritrovarci in una delle più incantevoli e incomparabili pianure del mondo: arance, limoni, melegrane e altri frutti ancora rosseggianti su alberi sempreverdi, perché in questi luoghi l’estate non ha mai termine a causa dell’accidentale calore naturale del suolo”.
La fama della tomba di Virgilio e della grotta vecchia era tale ancora nel XVIII da far sì che il luogo fosse tappa quasi obbligata per quanti si recavano a Napoli.
Johann Wolfgang Von Goethe stesso, nel suo viaggio in Italia, dedicò alcune righe a questa meraviglia:
“Oggi mi son dato alla pazza gioia, dedicando tutto il mio tempo a queste incomparabili bellezze. Si ha un bel dire, raccontare, dipingere; ma esse sono al disopra di ogni descrizione. La spiaggia, il golfo, le insenature del mare, il Vesuvio, la città, i sobborghi, i castelli, le ville! Questa sera ci siamo recati alla Grotta di Posillipo, nel momento in cui il sole, passa con i suoi raggi alla parte opposta. Ho perdonato a tutti quelli che perdono la testa per questa città”.
Oggi sono visitabili solo i primi 50 metri. Il resto del tunnel è pericolante e pieno di avvallamenti. Servirebbero fondi per rimetterlo in ordine e consentire il passaggio da un capo all’altro della galleria.