Officina delle idee

GAO YU, L’ULTIMA VITTIMA DEL BAVAGLIO CINESE

L’anno scorso, in Cina, più o meno di questi tempi, il governo di Pechino pubblicava una relazione ufficiale in cui affermava che Internet stava drammaticamente aumentando lo spazio di libertà di parola. Per un regime che da sempre estende i suoi tentacoli in tutti i più comuni strumenti di comunicazione, tenere a bada il proliferare di forum, di blog, di social network e piattaforme di instant messaging varie dev’essere una bella gatta da pelare. Facebook, Twitter e YouTube sono al centro del mirino della censura, e ad oggi non è più concesso accedervi. «Il modello cinese è basato su controlli estremi e repressione della libertà d’espressione. Le autorità usano un esercito di censori per prendere di mira i singoli utenti e imprigionare attivisti solo per aver espresso online le loro idee», sono le parole di William Nee, ricercatore di Amnesty International sulla Cina. Ogni tanto, capita che qualcuno faccia le spese della politica censuratrice cinese, e non soltanto i siti internet, ma individui in carne ed ossa. Come Gao Yu, per esempio.

Gao Yu è la giornalista cinese di 71 anni che è appena stata condannata a sette anni di detenzione, più un altro anno di privazione dei diritti politici, per aver rivelato segreti di Stato a un sito di news straniero. Al momento, non si sa né quale fosse il sito, né cosa riguardasse il discusso documento in questione. La condanna è arrivata a circa un anno dal suo arresto, avvenuto il 24 aprile 2014. È anche stata trascinata in televisione per una pubblica confessione di colpa, salvo poi ritrattare alcuni mesi più tardi, affermando che la confessione le era stata estorta dietro minacce rivolte ai membri della sua famiglia. Ad ogni modo, Gao Yu era tenuta d’occhio da parecchio tempo, e era già stata causa di “preoccupazioni” per il governo centrale: almeno dal 1988, per la precisione, quando divenne capo redattrice di Economics Weekly, settimanale curato da intellettuali non esattamente vicini alle linee guida del Partito. In quello stesso anno, il sindaco di Pechino Chen Xitong additò Gao Yu come un individuo sovversivo, capace di fomentare tumulti e ribellioni. Un “nemico del popolo”, l’aveva chiamata. L’anno seguente fu arrestata per aver accordato il suo sostegno alle protese di piazza Tienanmen, e poi ancora nel 1993, sempre con l’accusa di aver divulgato segreti di Stato.

Giudicare Gao Yu innocente o colpevole, a seconda che chi parli sia, per dirla in termini banali, filooccidentale o filocinese, è piuttosto facile. La Cina ha una concezione della democrazia e delle libertà personali che sicuramente non è la nostra, questo è poco ma sicuro. Certo, suscita perplessità il fatto che il governo abbia comunicato lo stato di detenzione della giornalista soltanto settimane dopo il suo effettivo arresto, e soprattutto che poco si sappia circa il reato da lei commesso. Ma se vogliamo attenerci ai fatti, ce n’è uno che è senz’altro degno di riflessione, e cioè come cambi la percezione di un individuo da un capo all’altro de globo.

Se, infatti, in patria è sempre stata guardato dalle alte sfere come una pericolosa sovversiva, non altrettanto è accaduto al di fuori dei confini cinesi. Nel 1995, per esempio, Gao Yu ha ricevuto la Golden Pen of Freedom dalla World Association of Newspapers, che ogni anno assegna il premio con l’obiettivo di portare un po’ di luce dei riflettori su quei giornalisti che utilizzano la scrittura per combattere un governo, un potere o un’organizzazione oppressiva. Nel 1997, l’UNESCO inaugurò il premio dedicato alla memoria di Guillermo Cano, assegnando il primo in assoluto proprio a Gao Yu, per il suo contributo nella tutela della libertà di stampa. Ancora, nel 2000 l’International Press Institute ha nominato Gao Yu uno dei cinquanta eroi della stampa del ventesimo secolo. Nel suo Paese, Gao Yu va fermata, mentre altrove le consegnano premi e targhe per omaggiare il suo coraggio, e nello stesso tempo per ricordare che i diritti civili non sono mai scontati. Queste onorificenze dicono che la “ribelle” settantunenne ha speso la propria vita per contrastare l’oppressione e la tirannia con il solo mezzo che aveva. È più che certo, in Cina la democrazia non combacia con la nostra idea di libertà.

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