E. A. Mario è il nome d’arte di Giovanni Ermete Gaeta, nato a Napoli il 5 maggio 1884; assunse tale pseudonimo in onore e ricordo del patriota e scrittore Alberto Mario, uno dei Mille. Era talmente affezionato al suo pseudonimo che sua moglie lo chiamò sempre “Mario”.
L’arte di scrivere versi e la collaborazione con il giornale “Il Lavoro di Genova”, non gli consentivano un reddito adeguato e pertanto s’impiegò alle Poste, il cui stipendio lo metteva al sicuro per il quotidiano.
Tramite il suo “ufficio” conobbe il Maestro Segrè: ne nacque una collaborazione che sfociò nella sua prima canzone “Cara Mammà”. Tutte le sue poesie erano frutto di una sorprendente vena melodica e siccome non aveva mai frequentato un conservatorio, riusciva con l’aiuto del solo fidatissimo mandolino a creare tante canzoni che sono ancora oggi fra le più belle e più colte, di cui, a volte ne era anche l’appassionato esecutore canoro.
Mentre lavorava come impiegato postale, pubblicò numerose raccolte di versi e novelle. Raggiunse la fama grazie a canzoni come “Io, ‘na chitarra e ‘a luna”, “Vipera”, “Santa Lucia Luntana”, “Le rose rosse”, “Balocchi e profumi”, “Dduje paravise”, “Funtana all’ombra”, “Canzona appassiunata”, “Presentimento”, “Maggio si’ tu” e tante altre ancora.
E.A.Mario frequentava il salotto Phonotype dove incontrava i maestri Tagliaferri e Giannini, i quali si prestavano a trascrivergli le canzoni da lui fischiate o suonate sul mandolino.
Aniello Costagliola, giornalista e poeta d’una rara acutezza, cosi definì Giovanni Gaeta: “II signor tutto della canzone napoletana, poeta, musicista, editore e spesso esecutore deliziosissimo delle cose sue”.
Legò il suo nome alla canzone patriottica “La leggenda del Piave” della quale fu anche primo interprete, immortalando quei tragici momenti della guerra 1915-1918. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, pur essendo stato esonerato dal servizio militare per motivi di famiglia, volle ugualmente dare il suo contributo e ottenne dalla direzione delle Poste l’autorizzazione a viaggiare nelle unità ambulanti postali addette al trasporto della posta in prima linea. Nel 1921 per l’inaugurazione del monumento al milite ignoto in Roma fu eseguita la “Leggenda del Piave”; in quell’occasione fu invitato al Quirinale e gli furono conferite le insegne di commendatore della Corona d’Italia. Questa canzone ancora oggi divide nel considerarla inno al fascismo o inno semplicemente patriottico.
L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) così testualmente descrisse il personaggio in epoca recente:
“E.A.Mario, Fascista e razzista l’autore de “La leggenda del Piave”. La storia di un personaggio che fino all’ultimo ha negato l’Italia della Resistenza e della Repubblica. (…) Quella canzone è, in effetti, legata alle vicende di quella disgraziata guerra che anche il Papa di allora condannò come una «inutile strage» e che si vuole sia stata «vittoriosa». È la canzone che accompagnò le spoglie del Milite Ignoto fino a Roma, che si trovava stampata su un cartoncino posto nei comodini delle cabine delle grandi navi italiane in viaggio sulle rotte del mondo, che cantarono i reduci, gli scolari, la folla, tutti.
Ma con quali versi? Con quelli che alla seconda strofa dicevano: «Ma in una notte trista/ si parlò di tradimento/ e il Piave udiva l’ira e lo sgomento/ Ah, quanta gente ho vista venir giù, lasciare il tetto/ per l’onta consumata a Caporetto»? Sì, questi erano i versi originali. Ma oggi questi versi non esistono più, perché furono sostituiti dai seguenti: «Ma in una notte trista si parlò di un fosco evento/ e il Piave udiva l’ira e lo sgomento/ Ahi quanta gente ha vista venir giù, lasciare il tetto/ poiché il nemico irruppe a Caporetto!». Come fu dunque che il «tradimento» era diventato un «fosco evento» e che «l’onta» era cambiata in una «irruzione»?
Il 25 settembre del 1922, Benito Mussolini aveva tenuto un discorso a Cremona domandandosi: «Ma cos’è quel brivido sottile che vi percorre le membra quando sentite le note della “Canzone del Piave”? È che il Piave non segna una fine: segna un principio. È dal Piave, è da Vittorio Veneto, è dalla Vittoria, sia pure mutilata dalla diplomazia imbelle ma gloriosissima. È da Vittorio Veneto che si dipartono i nostri gagliardetti. È dalle rive del Piave che noi abbiamo iniziata la marcia che non può fermarsi fino a quando non abbiamo raggiunto la meta sublime: Roma!»
Questa assunzione di paternità fece probabilmente perdere la testa ad E.A. Mario, il quale scalpitò per essere ricevuto dal «duce» e fu presentato a Mussolini, ormai dittatore d’Italia, solo il 19 novembre del 1925. Eppure, nel 1924, era uscita una rivista dal titolo “La rassegna, Problemi d’Italia” che cominciava a rendere “La leggenda Piave” meno gradita alle autorità militari, affermando che essa conteneva «nella strofa seconda, un giudizio che se anche la Storia non tarderà a rivedere o cancellare, deve in ogni caso considerarsi avventato e inopportuno a distanza di anni, in un inno ufficiale. È bello e soprattutto è giusto solo perché gli italiani non se ne avvedono (gli inni patriottici sono quelli che tutti cantano e nessuno sa), mandare in giro pel mondo con “La leggenda del Piave”, la nostra pubblica consacrazione della leggenda di Caporetto?».
Volevano dire, i signori ufficiali, che non c’era stata nessuna Caporetto e che quella strofa di E.A. Mario proprio non si doveva cantare. La vicenda si sbrogliò nel 1929, quando «accertati i fatti storici, “La leggenda del Piave” è modificata nella seconda strofa»: lo annota lo stesso E.A. Mario nella propria rivista “Strenna azzurra”…
Ecco dunque cancellata la pagina nera di Caporetto. E da parte del suo stesso autore… E.A. Mario sarà d’ora in poi al totale servizio del regime. È in occasione del decennale de “La leggenda del Piave” che E.A. Mario pubblica, attraverso la propria casa editrice, una “Strenna azzurra italica”, che segnala sua incondizionata adesione al fascismo… Quando Mussolini e il fascismo partono per l’Abissinia, uno dei bersagli preferiti dagli autori di canzoni e dai cori goliardici più sguaiati è l’imperatore Selassié. Anche E.A.Mario si scatena. Dapprima lo contrappone alla grandezza di Mussolini: «L’Italia d’ogge canta “Giovinezza”/ Selassié!/ È acciaro ’e tempra: spezza e nun se spezza/ Selassié!/ Chi mo ’a guverna è n’Ommo ca s’apprezza/ Selassié/ E tu contro a chist’Ommo vuo’ fa’ o Rre?/ Vatté!». Poi lo paragona ai prodotti ittici più scadenti e insomma ne sporca la figura in maniera pesante. L’«Ommo» (sempre con la “O” maiuscola) è naturalmente il Duce, che «spezza e nun se spezza»… E il ritornello esplode: «Andremo in Africa sicuri e allegri: andremo a vincere contro quei negri/ Fra tante teste che mozzerò/ una di queste ti porterò»…
Questa in sintesi la controversa vicenda umana di E. A. Mario, capace di lasciarci canzoni eccezionali per poi sbigottirci con il fascismo e la “Leggenda del Piave”, forse la vera “caporetto”, ma di E. A. Mario…
Giovanni Ermete Gaeta, morì a Napoli il 24 giugno 1961.