La satira è un genere di comunicazione, caratterizzata dall’attenzione critica alla politica e alla società, mostrandone le contraddizioni e promuovendo il cambiamento. Per questi motivi la satira è una grande dimostrazione, la più alta espressione, di libertà e di democrazia. Antichissima, è sempre stata soggetta a violenti attacchi da parte dei potenti. Ai tempi nostri, si tende ad identificare la satira come una forma dell’umorismo e, in qualche caso, della comicità; talvolta, poi, si intende per satira anche, indiscriminatamente, qualsiasi attacco a personaggi detentori del potere politico, sociale o culturale, più genericamente vi si include qualsiasi critica al potere svolta in forma “divertita”. Antica è anche la satira napoletana, attraverso opere non solo letterarie o musicali, ma, per la rinomata fantasia partenopea, persino affidata, come in questo caso che descriveremo, ad una… statua.
Il Gigante di Palazzo, una grande statua rappresentante il busto di Giove, fu recuperato a Cuma, in località Masseria del Gigante, durante gli scavi nell’antico tempio di origini sannitiche (il Capitolium) con iscrizioni a mosaico in lingua osca.
Nel 1668 il viceré di Napoli don Pietro Antonio d’Aragona la fece porre in cima alla salita che dalla darsena immetteva in Largo di Palazzo, ovvero nell’attuale Piazza del Plebiscito, completandola degli arti mancanti.
Il Gigante di Palazzo divenne ben presto il luogo dove si apponevano su foglietti satire in versi e in prosa all’indirizzo delle autorità costituite. Gli autori degli scritti e delle affissioni, nonostante tutti i tentativi, rimasero ignoti alle autorità, nonostante che queste, ad un certo punto, avessero affidato ad una vigilanza armata, il compito di stanare i “provocatori”. Fu lo stesso viceré don Pietro Antonio d’Aragona a farne per primo le spese, ma chi rese involontariamente celebre il Gigante fu Luis de la Cerda che, giunto come viceré nel 1695, pensò bene di mettere una taglia di 8.000 scudi d’oro a chi fornisse notizie utili all’arresto degli autori di questa impertinente satira. Ebbene, il giorno successivo, un foglio affisso sul Gigante offrì dieci volte tanto, 80.000 scudi d’oro a chi portasse la testa del viceré in piazza del Mercato… A domanda rispondo…
Non andò poi tanto meglio ai viceré austriaci, tant’è che al conte Alois Thomas Raimund di Harrach, nel 1730, venne sul busto indirizzato il solito anonimo messaggio utilizzando il luogo di provenienza di questi per “sfotterlo” un po’:
«Neh che ffa ‘o conte d’Harraca?
Magna, bbeve e ppò va caca».
L’ignoto scrittore ebbe così a dire sul viceré in quanto ad impegno per la città: le uniche preoccupazioni “politiche” del conte erano appunto mangiare, bere e… andare di corpo.
Prima di lasciare il trono di Napoli nel 1808, Giuseppe Bonaparte, non più sopportando chi lo bersagliava continuamente, invece di metter la taglia sugli anonimi autori, se la prese col Gigante, ordinandone il “trasloco” dalla piazza alle scuderie di Palazzo Reale. Ma la mattina stessa della “rimozione forzata” si poterono leggere sul busto queste ultime volontà del vecchio Giove: «Lascio la testa al Consiglio di Stato, le braccia ai Ministri, lo stomaco ai Ciambellani, le gambe ai Generali e tutto il resto a re Giuseppe». E tutti intesero quale altra “parte” riservasse argutamente al Bonaparte…
Attualmente la statua si trova al Museo Archeologico Nazionale, ma in tanti la vorrebbero ricollocata nella Piazza del Plebiscito.
Chissà se i moderni graffitari sarebbero all’altezza degli illustri sconosciuti di quei tempi. L’importante sarà evitare catenacci e dichiarazioni d’amore tra “Patrizia e Peppino”, perché quella sì che sarebbe una sconfitta per il Gigante mai vinto.