In un impegnato articolo del Corriere sullo sciopero dei professori contro la cosiddetta “buona scuola” R. Abravanel parte dal presupposto che a scioperare debbano essere, in primis, studenti e famiglie non tanto per il diritto allo studio quanto per quello al “lavoro”.
Bene, concordo. Ma il diritto al lavoro nella società post-industriale non coincide forse con quello allo studio? Direi proprio di sì! Ma allora perché Abravanel fa proprio l’assunto secondo cui la scuola italiana non è in sintonia col mercato del lavoro? Parte dalla considerazione che la cultura italiana è ancora venata e macchiata dai principi gentiliani sulla formazione umana, completamente orientata all’apprendimento culturale e segnata dal cognitivismo disciplinare. Il saper –fare e il saper-essere sono estranei all’attuale sistema scolastico, mentre sarebbero i capisaldi dell’organizzazione aziendale. Per saldare studio e mercato del lavoro, secondo Abravanel, è fondamentale curvare l’istruzione in un processo integrativo orientato verso la realtà produttiva con una procedura standard che prevede l’alternanza scuola-lavoro come la sostanza e la novità del processo formativo della scuola del terzo millennio. Il problema è, infatti, non il diritto allo studio, che bene o male, esiste, ma il diritto al lavoro che per le ultime generazioni effettivamente non c’è.
Quindi bisogna attivarsi per entrare nei trecentomila posti di lavoro che ogni anno ”il mercato comunque crea”; la campana suona per i giovani essendo “ la ricreazione finita”.
A tale visione delle problematiche formative ho due osservazioni da muovere:
- Non si può avere un’impostazione totalizzante di natura aziendale; infatti i tirocini si dovrebbero svolgere con un “tutor aziendale” che realmente affianchi e prepari lo studente alla pratica lavorativa, altrimenti sarebbe lavoro in nero!
- Se ogni anno i posti di lavoro realmente esistenti sul mercato sono 300.000 ed i pretendenti 600.000 è evidente che scatta un meccanismo “psicologico” di massa di fuga da una parte dall’interesse verso la qualità dello studio (meritocrazia), dall’altra dal disimpegno sociale e partecipativo delle problematiche dell’ “agorà “, compreso il tema della distonia tra aspirazioni lavorative soggettive possedute e offerta di lavoro, assente in toto.
Ecco, visto così il problema è più realistico da affrontare e presuppone una forte iniziativa dell’ U.E. a modificare i fondamenti delle politiche economiche attivate che sono segnate dall’emarginazione dal sistema produttivo dei giovani tedeschi, italiani e francesi come segno distintivo della società opulenta di oggi.