Una sicura eccellenza napoletana è SRM: centro di ricerca per studi e ricerche sul Mezzogiorno, sostenuto da Istituto San Paolo e banco di Napoli ed egregiamente diretto da Massimo De Andreis.
Le sue manifestazioni pubbliche, nel prestigioso salone del Banco, si distinguono per due caratteristiche: La precisione delle analisi e dei dati presentati e la costante assenza di rappresentanti di Comune e Regione, che evidentemente, preferiscono ignorare le caratteristiche e le potenzialità del territorio che amministrano. Spero che la nuova dirigenza politica si comporti diversamente.
L’argomento dell’ultima manifestazione era l’incidenza dell’economia marittima nello sviluppo del Mezzogiorno ed i rapporti con le economie della sponda nord dell’Africa. Importante la partecipazione del dirigente dell’Agenzia portuale marocchina. Qualche semplice dato aiuterà a chiarire le idee:
- +123% la crescita del traffico merci nel Mediterraneo negli ultimi 13 anni;
- Il 19% del traffico navale mondiale passa dal Mare Nostrum; nel 2005 era il 15%;
- Le direttrici verso e da Golfo-Medio ed Estremo Oriente sono cresciute nel periodo 2001-2014 rispettivamente del 160% e del 92%;
- +339% i passaggi dal Canale di Suez verso il Golfo arabo (2001-2014);
- Italia primo Paese UE28 per trasporto di merci in Short Sea Shipping nel Mediterraneo (204,4 mln di tonnellate). Italia terza in Europa per traffici gestiti (460 mln di tonnellate);
- Il settore marittimo vale oltre 43 miliardi di Euro di Valore Aggiunto (VA) e 800mila posti di lavoro;
- Valore interscambio oltre 220 miliardi di euro d’import-export pari al 30% delle merci in valore. Verso i Paesi del Mediterraneo (Area Mena) questa percentuale sale al 75%;
- Il 33,7% del VA dell’economia del mare è prodotto nel Mezzogiorno (14,7 miliardi di euro) dove si trova il 38,6% degli occupati del settore;
- I porti del Mezzogiorno movimentano il 45,7% del traffico container e il 47% del traffico merci;
- Via mare il 60% dell’interscambio del Mezzogiorno (55 miliardi di euro);
(Fonte: Comunicato stampa SRM del 5 giugno 2015).
Questi i dati, nudi e crudi. Si nota subito che essi non hanno finora inciso né sulla politica regionale né su quella nazionale. Il cluster marittimo si auto-amministra senza che la politica lo sostenga come la sua importanza meriterebbe: sintomatica a tale scopo è la vicenda del porto di Napoli. Debole innanzitutto per la mancanza di collegamenti stradali e ferroviari con la rete primaria. Ciò, ad esempio, ha costretto lo stabilimento FCA di Melfi ad esportare il SUV di sua produzione via Civitavecchia che si trova 300 km più a Nord di Napoli, col conseguente incremento di costi.
Ovviamente nella prospettiva di riforma portuale che il governo ha avanzato la questione del porto di Napoli non può più essere posta nei vecchi termini. Lo sbocco razionale è un’unica Autorità portuale campana che governi tutto il sistema portuale campano: quello del golfo, quello di Salerno e quello della costa cilentana puntando sulle specifiche caratteristiche del singolo porto: industriale, passeggeri, da pesca e turistiche in modo da offrire all’economia regionale e meridionale un’offerta integrata. Sull’esempio di altre regioni occorrerà provvedere ad un piano della logistica che integri il sistema portuale con le aree retro portuali, in particolare con le grandi strutture d’intermodalità presenti in Campania.
Un esempio da seguire potrebbe essere la normativa prevista dalla legge 10 del 30/06/2014 della regione Emilia Romagna tenute presenti ovviamente le nostre particolarità e l’analoga legge sull’autotrasporto del 7 maggio 2014 intitolata significativamente: per la legalità e la sicurezza nella logistica e negli autotrasporti. La Campania manca di uno strumento simile. Auspico che la nuova Giunta affronti l’argomento superando il limite costante delle nostre amministrazioni regionale il cui focus è stato sempre il TPL in base al miope principio che “le merci non votano”. Elemento che la dice lunga sulla capacità politica di chi ha finora governato.
Ritengo che la singolare uniformità di direzione politica per le regioni meridionali debba funzionare da leva per sollevare il problema del ritardo del Mezzogiorno a questione nazionale. Senza l’equilibrio di sviluppo fra le parti del Paese sarà difficile confermare l’importanza dell’Italia nel panorama internazionale. La riflessione può essere aiutata da un dato: Il delta di variazione del PIL 2001-2013 è per il Mezzogiorno del -. 7,2% mentre per il Centro nord è del + 2,0 %. Perciò il delta nazionale negativo dello -0,2% è tutto da addebitare alla performance negativa del Mezzogiorno. Dimostrazione ulteriore, se mai ce ne fosse bisogno, che senza la ripresa del Mezzogiorno non c’è ripresa del Paese. Per un paese come il nostro l’economia marittima sia come shipping sia come attività portuale è d’importanza primaria. Ogni posto di lavoro generato nel settore ne induce quattro all’esterno. Questa lezione è stata ben appresa dal Marocco. Ho ascoltato con molto interesse la lunga e dettagliata relazione del responsabile dell’Agenzia portuale del Marocco. A parte i dati tecnici e la definizione delle politiche d’investimento che sono alla base dell’impetuoso sviluppo del sistema portuale marocchino mi hanno colpito le sue argomentazioni politiche. Ci ha detto che, a parte gli investimenti pubblici e privati, il successo dell’iniziativa viene garantito da due dati politici. La stabilità del governo e l’accordo sul mantenimento dei diritti dei lavoratori che rende possibile la collaborazione fra imprese e lavoratori con l’obiettivo comune dello sviluppo. Ciò è stato ottenuto col coinvolgimento dei sindacati nella discussione. Vi ricorda niente?
Per il vero anche in Italia porti importanti si reggono su accordi simili –Genova per esempio- e metterli in discussione in omaggio a un ideologico rispetto del principio di concorrenza è certamente un errore.
La caratteristica negativa della nostra logistica è che essa è soprattutto una logistica con un livello tecnologico molto basso. In Campania società che abbiano magazzini di stoccaggio moderni e automatizzati si contano sulla punta delle dita. Original Marine è una di esse. Le ditte anziché ricorrere in investimenti in hardware ed in risorse umane hanno preferito il lavoro manuale precario, sottopagato ed esposto al caporalato camorristico. In tutto il settore in Italia agiscono circa 200mila facchini al 95% immigrati ed all’80% musulmani che ovviamente ai razzisti nostrani non danno fastidio. Secondo il professor Sergio Bologna il punto dolente del nostro sistema logistico non sono le regole del lavoro portuale ma la mancanza di regole nel sistema logistico che genera la distorsione citata e che abbassa la competitività internazionale del sistema .
Sempre secondo il professor Bologna (e chi scrive concorda) il male dei porti italiani sono le tante imprese incistate in essi, che non investono, vivacchiano di rendite di posizione e che si lamentano dei presidi che lo Stato ha nei porti ma se questi presidi funzionassero a dovere sarebbero le prime a saltare. La situazione del porto di Napoli è, al riguardo, emblematica. Il lato critico è dato da quelle industrie manifatturiere o quegli operatori logistici che si lamentano delle Dogane ma che lasciano i loro container per settimane in banchina perché, non avendo investito in moderni sistemi di stoccaggio, preferiscono che i containers funzionino da magazzino gratuito avendo così anche l’occasione di sbraitare sulla stampa o nei convegni sull’insufficienza d’infrastrutture.
La politica si deve interessare di queste problematiche che garantiscono sviluppo reale e lavoro “vero” ai giovani. Spero che la nuova giunta regionale ponga tali questioni al suo ordine del giorno provvedendo anche al necessario intervento nel sistema educativo per la creazione delle nuove professionalità necessarie all’adeguamento del sistema ai moderni metodi della logistica.