Le elezioni regionali del 31 maggio hanno dato un risultato chiaro e netto: i cittadini campani hanno bocciato senza appello i 5 anni di sostanziale non governo del centrodestra e di Stefano Caldoro e hanno deciso di cambiare, affidando le loro speranze di uscire dall’immobilismo di questi anni al Partito democratico, alla coalizione di centrosinistra e a Vincenzo De Luca. Al di là del trend nazionale, infatti, è evidente che i campani hanno voluto chiudere con un’esperienza di governo che dopo 5 anni ci riconsegna una regione più povera, più isolata e più desertificata sotto il punto di vista dei servizi e delle attività produttive. Certo, non è stata una campagna elettorale semplice e soprattutto “serena” visto che a poche ore dal voto invece di concentrare ogni sforzo, anche al nostro interno, su idee e programmi concreti attorno a cui trovare convergenze si è dovuto dibattere ancora di presentabili e impresentabili e tuttavia, se nonostante tutto questo i campani hanno comunque deciso di affidare a noi la guida della Regione per i prossimi cinque anni, è evidente che la nostra responsabilità adesso è enorme. Tocca a noi ora non deludere la fiducia riposta e guidare assieme al neo governatore De Luca la Regione fuori dal tunnel. La bocciatura netta del governo Caldoro, tuttavia, non è l’unica indicazione chiara che possiamo ricavare dal voto del 31 maggio. L’altra è quella di un preoccupante aumento dell’astensionismo: ormai un campano su due decide di non andare a votare e a Napoli città, dall’anno scorso (Europee) ad oggi, l’astensionismo è addirittura aumentato: il partito del non voto sfiora il 60%. Numeri spaventosi. A decidere per tutti, insomma, è ormai una minoranza del corpo elettorale. E questo, per una democrazia come la nostra, è indice di una malattia per la quale dobbiamo trovare la cura. Come ho scritto in questa riflessione post voto pubblicata domenica 7 giugno sul Mattino di Napoli, la medicina dell’astensionismo è la buona politica. Il voto consegna al Pd un risultato tra luci e ombre. Abbiamo vinto le elezioni, siamo la prima forza del Paese e governiamo tutte le regioni del Sud, cosa mai accaduta in passato. Tuttavia non vedere i problemi rischia di tradursi in un clamoroso boomerang. In Campania, rispetto alle elezioni Europee, abbiamo quasi dimezzato i voti: da 830 mila a 440 mila. A Napoli città è andata ancora peggio: da 130 mila passiamo a 60 mila e siamo andati sotto al M5S e che, invece, avevamo quasi doppiato. Tra meno di un anno ci sono le comunali. Non sarà facile recuperare. È vero che ogni elezione è una storia sé e che ci sono state le liste civiche dove si è redistribuito una parte del voto ma tutto questo non spiega a Napoli un calo così vistoso e, soprattutto, non ci permette di “sederci sugli allori”. Anzi, il fatto che proprio a Napoli città il PD abbia fatto registrare le performance meno esaltanti dimostra che a venire meno è stato il cosiddetto voto di opinione, quello cioè meno ancorato alle preferenze e più legato, per così dire, all’attribuzione di fiducia a un progetto. Segno che qui proprio questo è mancato e manca tuttora: la percezione da parte dei napoletani della capacità, da parte del PD, di esprimere una proposta politica radicata sui temi che a loro interessano come il lavoro e lo sviluppo, la sanità e la salute, i trasporti e i servizi pubblici, un’idea dì Mezzogiorno in grado di trainare la ripresa del paese. Un vuoto, questo, che occupato solo dall’intermediazione dei portatori di voti ha finito per favorire la crescita di forze antisistema. Siamo diventati poco più che un comitato elettorale o meglio la somma di tanti comitati elettorali. Un partito così non è in grado di assolvere alla funzione per cui è nato, non è utile ad indirizzare e guidare il cambiamento e non aiuta la democrazia italiana a superare i problemi che ha evidenziato recentemente. E, non da ultimo, penso che un partito così sia di scarso aiuto anche a De Luca per governare bene la Regione. Che fare dunque? Costruire finalmente il Pd a Napoli, in Campania (e non solo), costruire una classe dirigente autonoma, che non dipenda dai portatori di consenso del momento ma sia in grado di esprimere un proprio progetto politico, è quello che ci consegnano, come messaggio, queste elezioni regionali.