La situazione della Grecia all’indomani del referendum che ha visto una schiacciante vittoria dei No è da valutarsi con grande attenzione. Il No quasi plebiscitario certifica il rifiuto del popolo greco, e non più solo del governo, di adottare le proposte della troika di rientrare dal debito attraverso politiche economiche di stampo liberista caratterizzate, per un verso, da una compressione spaventosa delle spese sociali, in un contesto dove disagio e povertà sono assai diffusi, e, per un altro, da riforme strutturali che hanno nell’introduzione più accentuata di strumenti di libera contrattazione il loro punto centrale: riforma del mercato del lavoro e delle pensioni in primis. Tuttavia noi non diremo niente sulle questioni specifiche delle politiche economiche da mettere in campo in Grecia per risalire la china di una situazione economica assai difficile. E ciò perché il risultato del referendum di Domenica scorsa apre un ulteriore spazio di riflessione.
Il No al referendum, infatti, pone l’Unione Europea di fronte ad una fase nuova perché alcuni nodi sono ormai venuti al pettine in modo così evidente che non sarà possibile rinviare di molto una discussione approfondita sui temi delle politiche economiche e del ruolo delle istituzioni democratiche rispetto ad esse. È tempo, infatti, di ridiscutere l’assioma – su cui sta crollando il sogno di un Europa Unita – della neutralità della politica monetaria, e della politica economica più in generale, professata da una oligarchia politica e da una tecnocrazia sovranazionale sempre più potente che, dopo aver disegnato – in modo a nostro parere sbagliato – le istituzioni che governano la nostra moneta e legato le mani ai governi nazionali sul fronte della politica fiscale, si è arrogata il diritto di scegliere per noi, per i nostri parlamenti e per i nostri governi, che cosa fare e chi deve pagare ogni volta il conto di un ossequio ai mercati che non ha nessuna ragion d’essere.
Se guardiamo la storia recente del nostro come di altri Paesi, ci rendiamo conto che il persistente deficit democratico e la deriva monetarista e recessiva imposta dall’Europa hanno di fatto reso impossibile il ricorso a politiche espansive per la crescita e per il rilancio dell’economia reale di molti Paesi membri dell’UE condannandoli, (salvo “rare eccezioni”), ad una posizione subalterna e dipendente da scelte puramente economico-tecniche che ledono i valori, i principi sociali e democratici fondativi degli ordinamenti di ciascuno Stato.
Ed eccoci allora a discutere sullo storico No della Grecia, che ci fa piacere credere sia un No ai sacrifici e all’austerità senza prospettiva imposta dalla troika, non un No all’Europa. Ed è proprio dal No della Grecia, a nostro parere, che deve iniziare quell’inversione di rotta che porta al cambiamento nel modo di concepire lo sviluppo e “la crescita” di un popolo e di un paese, abbandonando l’illusione della neutralità della moneta che, poi, a ben vedere, maschera logiche finanziare manovrate dai pochi detentori della conoscenza (e, quindi, del potere). È necessario recuperare ad istanze democratiche istituzioni e regole che l’Europa si dà in continuità con la sua storia di continente attento ai valori dell’agire umano solidale e responsabile, indispensabile per una crescita che contrasti le diseguaglianze eccessive, che sia attenta ai bisogni dei nuovi e vecchi poveri e non lasci crescere, senza rimorsi e ripensamenti, fenomeni come le morti per suicidio di imprenditori, artigiani, padri di famiglia e disoccupati che hanno cessato di dare voce al loro dolore e alla loro disperazione, in quanto alienati nella loro dignità e privati del diritto alla “sopravvivenza”, del diritto “alla vita”.
Speriamo e crediamo che il No della Grecia possa diventare un momento di riscatto per la democrazia degli Stati e della stessa Unione Europea che da troppo tempo sono, gli uni e l’altra, imprigionati, anche per il prevalere di una omologazione (e confusione) tra pubblico e privato, in logiche utilitaristiche e vittime di progetti di risanamento finanziario calati dall’alto ed economicamente insostenibili per la gran parte della popolazione di molti Paesi.
È necessario nell’Europa che verrà – e nella quale speriamo – rafforzare gli strumenti che restituiscono al popolo il potere di decidere e di esercitare, direttamente o indirettamente, la propria sovranità, in nome di una democrazia che vuole impedire il consolidarsi di gruppi oligarchici di potere. Crediamo, infatti, che non saremmo arrivati a questo punto se le strategie europee per contrastare la crisi avessero puntato ad investimenti, accompagnati da riforme serie, piuttosto che a tagli, e se i soldi fossero stati prestati direttamente ai governi, ponendo fine alla politica di austerity, piuttosto che alle banche. Condividiamo l’opinione di Mariana Mazzuccato, professore di Economia dell’Università del Sussex, che sottolinea l’impossibilità di avere un’unione monetaria di fronte ad una struttura economica e ad una capacità competitiva tanto differente tra i paesi. … E l’Europa, piuttosto che puntare ad un effettivo rilancio della economia dei paesi “deboli”, ha imposto tagli di pensioni, di stipendi, e regole che hanno reso ancora più farraginoso il funzionamento del mercato del lavoro.
Crediamo fermamente che per salvare l’Europa dal collasso inevitabile verso il quale si è avviata è fare un mea culpa per una gestione quanto meno ingenua del caso Grecia. Non si può abbandonare o rischiare di “perdere” la Grecia con una modificazione degli equilibri geopolitici che ne scaturirebbero dagli esiste imprevedibili. È indispensabile un accordo di tipo innanzitutto politico tra gli Stati membri per interrompere l’effetto moltiplicativo dei “NO della Democrazia” contro “il diktat dell’austerità”. Bisognerà poi mettere quanto prima mano ad una rinegoziazione dei trattati europei, modificare le logiche attuali del fiscal compact e del Patto di stabilità e definire chi e come gestisce, sulla base di un mandato democratico, le politiche economiche dell’area UE. Una proposta che favorirebbe la Costruzione di un’Europa realmente democratica capace di promuovere uno sviluppo economico e sociale sostenibile.