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MASANIELLO, QUEI DIECI GIORNI CHE SCONVOLSERO IL REGNO DI NAPOLI III

Sorge, combatte, trionfa. L’albagia dello straniero si piega dinanzi al capitano vincitore della libertà. La fierezza castigliana si umilia davanti al pescatore fatto padrone di un regno”.
Grandi tavolate vengono organizzate in suo onore, dal Vicere’ e dai nobili. Tavolate in cui il vino scorre a fiumi e Masaniello ne beve molto, troppo. C’e’ bisogno che il popolo arrivi ad odiare Masaniello, ma come? Facendolo impazzire, questa la soluzione. La Roserpina (un potente allucinogeno molto usato dagli spagnoli) fa al caso (ndr: e’ una delle cause ipotizzate anche se la piu’ accreditata e’ la pazzia improvvisa). Viene messa, la roserpina, in quel vino tanto bevuto nelle frequenti tavolate. Iniziano a comparire i primi segni di follia. Una delle ultime “magnate” avviene a casa di Onofrio Cafiero. La tavola e’ piena di traditori ed il vino avvelenato scorre a fiumi.
Il giorno dopo (il 15 Luglio) avviene la stessa cosa.
L’epilogo si ha il 16 Luglio, un martedì, nel giorno della Festa del Carmine. Una gran folla prese a contestarlo ed egli tentò invano di difendersi dalle accuse di pazzia e tradimento; accusò i detrattori di ingratitudine e rinfacciò loro le condizioni in cui versavano prima della rivolta.
L’ultimo giorno del suo regno, appunto il 16 Luglio, Masaniello affacciandosi alla finestra di casa sua, pronuncio’ uno dei suoi ultimi discorsi. “”Popolo mio….“, così come iniziava sempre, “ti ricordi, popolo mio, come eri ridotto“…
Descriverà tutti i vantaggi ottenuti con il suo governo. I privilegi, le gabelle tolte. Ma sa benissimo che presto verrà ucciso, ed e’ proprio questo il rimprovero: vigilare sulle libertà ottenute. In questo discorso si vede un Masaniello ridotto pelle ed ossa, gli occhi spiritati. Qualcosa e’ cambiato nel suo fisico, qualcosa di grave. E questo qualcosa riprendera’ possesso della sua coscienza e lo portera’ a concludere il discorso in maniera farneticante, sconvolto dall’ipocrisia di tanti onori e dai mugugni del suo popolo, convinto che il successo gli aveva dato alla testa. Masaniello impazza a cavallo per piazza Mercato, istiga alla violenza e la pratica. Il Vicere’ fa allora distribuire le armi ai suoi fidi ed emette un bando per dichiarare Masaniello decaduto da ogni carica. Ma lui entra nella Basilica, dove il Cardinale celebra, e li, per mostrare come si sia ridotto il suo corpo per il tanto lavorare giorno e notte a favore del popolo, si spoglia, e si mostra nudo, scheletrito. Lo afferrano e lo chiudono, con la complicità del Cardinale, nella cella segreta della Chiesa del Carmine, dove lo lasciano senza protezione nè scorta. Qui lo raggiunsero i Capitani delle Ottine Carlo e Salvatore Catania, Andrea Rama, Andrea Cocozza e Michelangelo Ardizzone, che lo massacrarono a colpi di archibugio. Salvatore Catania, gli stacchera’ la testa con un coltello e la portera’ al Vicere’ come prova. Il corpo fu gettato nelle fogne.
Il popolo si rese conto presto di aver perso un capo, un riferimento, la guida che aveva dato la vita per loro : si sentirono soli.
È muorto chi lu Nobile ha smaccato. È muorto chi ha cresciuto li panelle. È muorto chi ha strette li Gabelle”. Così scrisse un anonimo poeta, all’indomani della morte di Tommaso Aniello, detto Masaniello.
Già il giorno successivo alla sua morte, la gente comprese che i miglioramenti ottenuti durante la rivolta erano sfumati: fu reintrodotta la gabella sulla farina e la palata di pane il cui peso, fissato da Masaniello in trentadue once, era tornata a consistere di trenta once.
Ben presto, in definitiva, la mancanza di Masaniello si trasformò in un’illenibile condizione di orfanità. Nel timore di una nuova rivolta, le Autorità spagnole assecondarono tutte le manifestazioni di devozione verso il CapoPopolo ucciso.
Invitato a celebrarne i funerali, Filomarino scrisse al papa: “…Da questo incidente del pane n’è risultato, che dove la morte del Masaniello non era stata sentita più che tanto, né avea fatta grande impressione negli animi de’ suoi seguaci (perché con la sua pazzia s’era reso a tutti esoso); il mercoledì l’incominciarono a piangere, a sospirare, esaltare e preconizzare; e desiderando la sua sepoltura, di cui prima non si curavano, vennero a chiedermela in grazia, timorosi che per gli uffici fatti io non fossi per concedercela; ma gliela concedei di buona voglia, e prontamente…”.
Il 18 luglio il corteo funebre, uscito dalla chiesa del Carmine due ore prima del tramonto, fu seguito da decine di migliaia di persone, mentre dalle finestre venivano esposte coperte e lumi come tributo d’onore.
Il feretro, avvolto in un lenzuolo di seta bianco e in una coltre di velluto nero, con alla destra una spada ed alla sinistra il bastone di Capitano Generale, fu portato in processione per tutta la città; attraversò i sei Seggi di Giustizia e passò per via Toledo. Una volta di fronte al palazzo Reale, il viceRé ordinò di abbassare le bandiere spagnole in segno di lutto.
All’alba, sciolta la processione, egli fu sepolto nella chiesa del Carmine.
La sorella Grazia, la madre e la moglie Berardina fuggirono a Gaeta ove le prime due furono assassinate, mentre l’altra fu risparmiata in quanto incinta.
Tornata a Napoli e ridotta alla più cupa miseria, Bernardina fu costretta per vivere a prostituirsi in un vicolo del Borgo S. Antonio Abate. Qui fu più volte picchiata a derubata dai soldati spagnoli suoi clienti. Morirà di peste nel 1656.
L’eco degli eventi napoletani giunse fino in Inghilterra dove Oliver Cromwell, dopo la guerra civile inglese, instaurò la repubblica nel 1649. La figura di Cromwell e quella di Masaniello venivano spesso accostate: in Olanda fu coniata una medaglia raffigurante da un lato il volto di Cromwell incoronato da due soldati, e dall’altro quello di Masaniello incoronato da due marinai. Le iscrizioni sotto i due volti recitano: OLIVAR CROMWEL PROTECTOR V. ENGEL: SCHOTL: YRLAN 1658 (Oliver Cromwell protettore d’Inghilterra, Scozia e Irlanda 1658), e MASANIELLO VISSCHER EN CONINCK V. NAPELS 1647 (Masaniello pescatore e re di Napoli 1647).
Nel ‘700, nell’Europa illuminista, molti Intellettuali esaltarono la figura del ribelle che, durante l’esperienza repubblicana del 1799, fu spesso celebrato come Primo Repubblicano di Napoli
Nel 1799 Ferdinando IV di Borbone ne fece distruggere la tomba. Il despota, come a voler esorcizzare l’ombra del gran tribuno del popolo, ordinó financo la dispersione delle ossa che lì giacevano da 152 anni, e ne smantello’ l’avello dov’era scritto: “Lazare, veni foras“. Chi entri oggi nella Chiesa del Carmine, nell’attuale cappella di San Ciro, sul pilastro destro leggera’ questa scritta: “Il sepolcro di Masaniello qui era, ma fu tolto per mire politiche da un dispotico sovrano nel 1799, durante la Rivoluzione partenopea“. Ciò che resta di Masaniello e’ questa lapide, una statua nel chiostro ed una piazzetta a suo nome formata da un palazzone in cemento armato. Interessante l’ipotesi di Ambrogio da Licata secondo cui i resti di Masaniello siano poco distanti dalla chiesa, nel porto a circa 10 metri di profondità proprio sotto un silos.

Fine della storia

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