Rosy Bindi non ha dubbi: questa Mafia Capitale richiede una soluzione d’urgenza, che non sia, però, sempre la solita solfa. Ci vogliono misure ad hoc. La Commissione parlamentare antimafia si trova ad avere a che fare con una bella gatta da pelare per lo scandalo romano, e la presidente Rosy Bindi ha ribadito la necessità di individuare una terza via per i grandi Comuni «tra scioglimento e non scioglimento, una sorta di tutoraggio e di assistenza dello Stato all’ente locale senza che questo debba essere sciolto e commissariato»
Il caso Mafia Capitale scoppiò quando l’arresto di alcuni membri dell’organizzazione criminale romana rivelò la connessione tra la malavita romana, che gestiva in proprio appalti e accoglienza dei migranti, e il mondo della politica e dello spettacolo. Ma se per Bindi questa è una «situazione gravissima» da affrontare, il suo collega di partito Franco Mirabelli ritiene che non spetti all’Antimafia intervenire nella questione: «Continuiamo a pensare che non sia opportuno che l’Antimafia intervenga in un processo i cui protagonisti sono altri: la commissione di accesso al Comune di Roma, il Prefetto di Roma e il Consiglio dei ministri», sono le parole del senatore PD; parole rivolte in particolare contro Maurizio Gasparri, che ha invocato a gran voce lo scioglimento del comune poiché, a suo avviso, non esistono le condizioni Anche il sindaco di Roma Ignazio Marino ritiene che sia compito del prefetto Franco Gabrielli e del Ministro dell’Interno Angelino Alfano stabilire se questa amministrazione sia infiltrata o meno dalla mafia.
E così, mentre Rosy Bindi sostiene che va pensata una riforma della normativa sullo scioglimento per mafia («era pensata per enti locali di piccole dimensioni e per territori tradizionalmente infiltrati dalle organizzazioni mafiose»), il timore di Mirabelli è che la Commissione parlamentare diventi uno strumento più politicizzato che politico, che venga utilizzato da uno schieramento o dall’altro per intervenire contro l’amministrazione rivale. È più o meno quel che successe alla vigilia delle regionali non molti mesi fa, quando il premier Matteo Renzi aveva sbottato contro Bindi rimproverandola di servirsi dell’Antimafia per regolare dei conti interni al partito. Quella volta fu il candidato alla presidenza della Regione Campania Vincenzo De Luca ad essere finito nel mirino della Commissione, insieme ai suoi candidati “impresentabili”, e anche in quell’occasione, Rosy Bindi si schierò contro una fetta del suo partito. Non si tratta di stabilire soltanto quale delle due parti abbia ragione, e quali misure saranno adottate (il che resta comunque l’aspetto fondamentale da tenere d’occhio); in un certo senso, è anche una lotta di potere. Mirabelli, per esempio, sostiene che l’Antimafia non è uno strumento nelle mani di questo o quello schieramento, ma se, in fondo in fondo, stesse facendo anche lui lo stesso gioco di Gasparri, stavolta per difendere Marino e il partito a cui egli stesso appartiene? Certo Mirabelli ha ribadito che una commissione parlamentare non dovrebbe intervenire prima delle determinazioni che il governo deve assumere, eppure resta la forte sensazione che, con tutte queste pressioni, l’Antimafia possa finire per perdere un po’ della sua autonomia.