Economia e Welfare

RIFORMA DEL SENATO, FORZA ITALIA NON CI STA. OPPURE NO?

Per chi si fosse perso tra una riforma della scuola ed un Italicum, riassumiamo. Chiunque avrà sentito parlare della tanto sbandierata riforma del Senato, forse la meno controversa tra i provvedimenti decisi o pianificati dal governo negli ultimi dodici mesi, anche perché gli italiani, costretti a districarsi tra le tasse, il Jobs Act e una sfiducia in continua ascesa verso le classi politiche e dirigenti, non è che si siano chiesti più di tanto chi e come andrà ad occupare Palazzo Madama. Dunque, in parole povere, la riforma è questa: 100 saranno i membri del nuovo Senato (in luogo degli oltre 300 attuali), di cui 74 consiglieri regionali, eletti ciascuno dal proprio Consiglio regionale, 21 sindaci (uno per ogni regione) e i rimanenti 5 nominati dal Capo dello Stato. Il Senato così composto avrà competenze differenti dalla Camera, e non sarà più necessario che sia chiamato a votare la fiducia o a discutere ogni legge.

Ora, una riforma di tale tipo ha bisogno di ottenere l’approvazione da entrambi i rami del Parlamento, non una ma ben due volte. Il primo turno è già andato, ma senza il sostegno di Forza Italia; o meglio, dopo aver garantito l’appoggio al Senato, quando il testo di legge è arrivato alla Camera, FI si è tirata indietro. Questo perché gli azzurri di Berlusconi non sembrano disposti ad ingoiare il rospo senza ottenere qualcosa in cambio. Perlomeno, non lo è la linea più dura del partito, quella che vorrebbe che Matteo Renzi scendesse a compromessi e che comprende anche Gasparri e Brunetta. In pratica, FI dà il suo sostegno al DDL Boschi (quello sul Senato, appunto, dal nome di Maria Elena Boschi), e in cambio si procede a una riforma sulla giustizia. Ma ciò che al partito d’opposizione proprio non va a genio, pare sia il principio di non elettività del Senato.

Un anno fa, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi sembravano più vicini che mai di questi tempi estivi e accaldati. Poi sono arrivati mesi difficili, Forza Italia non ha gradito l’elezione di Mattarella come Presidente della Repubblica, ma volendo essere un filo più maligni si potrebbe dire che ha compreso che dal Patto del Nazareno non poteva ricavare granché se non un ruolo di second’ordine, e ha preferito tornare alla sponda avversaria, almeno per cercare di avere una voce più autorevole. Renzi, a sentirlo parlare, è sicurissimo di sé: dice che lui andrà avanti, che «se ci staranno, bene, se non ci staranno faremo senza di loro», insomma vuol dare l’illusione che FI non sia determinante. E non lo è, in effetti, perché con gli alleati di Scelta Civica, UCD e NDC, il Partito Democratico può anche farcela a far passare la riforma. Basterebbe che tutti i parlamentari del PD siano compatti, e su questo non si può scommettere. Ormai i partiti si scindono in tante di quelle correnti che non riusciamo nemmeno a conoscerle tutte, e il PD non fa eccezione: e chi assicura Renzi, allora, che non sarà proprio una di quelle correnti minoritarie a mettergli i bastoni tra le ruote? Dopotutto, non è che il suo partito sia sempre stato unico e compatto dalla sua parte.

L’aspetto fastidioso della questione, però, è la sensazione di trovarsi sempre di fronte a una compravendita, in cui le alleanze si stringono in base alla merce che esponiamo sul banco e il miglior offerente vince. Che la politica sia un gioco in cui io do una cosa a te se tu ne dai una a me, questo lo abbiamo capito tutti. Da anni. Non sarebbe bello, però, se i partiti e i politicanti, per una volta almeno, votassero le riforme che ritengono necessarie e opportune guidati soltanto dai propri principi? O dobbiamo accontentarci di questa Forza Italia che è pronta a farsi piacere il DDL in cambio di un contentino?

 

 

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