Viviani è stato anche la maschera di Pulcinella.
Con la morte di Antonio Petito nel 1876 questa maschera continuò ad essere un grande mito di identificazione regionale, ma rimase confinata sempre più nei teatri di terz’ordine, frequentati quasi esclusivamente da un pubblico proletario.
Nel Novecento il teatro di Pulcinella attira l’interesse e la riflessione di alcuni artisti, Petrolini e, soprattutto, Raffaele Viviani e Eduardo De Filippo.
Le poche pulcinellate che essi compongono sono più commedie su Pulcinella che commedie di Pulcinella.
La prima esperienza di teatro di Raffaele Viviani con la maschera di Pulcinella è costituita dalla commedia “Siamo tutti fratelli”, tratta da una lunga commedia di Antonio Petito intitolata “So muorto e m’hanno fatto turnà a nascere”.
Viviani rielabora in maniera innovativa alcuni tratti fondamentali del linguaggio pulcinellesco tradizionale, presenta un Pulcinella sognante: costretto a muoversi in un mondo di opportunisti, passa agli occhi di tutti come lo sciocco di sempre, manovrabile a piacimento dai furbi disonesti.
Sicuramente l’interesse maggiore di queste commedie è costituito dalla sua capacità di far diventare teatro vivo (e non semplicemente, com’era accaduto qualche volta nel teatro di Petito, comica rappresentazione) non tanto la maschera, quanto i suoi interpreti, con le loro storie di sofferenze e di sconfitte.
“L’ombra di Pulcinella”, commedia in due atti, andò in scena, con successo, per la prima volta il 20 settembre 1933, al Teatro Odeon di Milano; in seguito fu rappresentata al Teatro Goldoni di Venezia.
L’idea centrale del dramma è la figura di un vecchio attore, Vicienzo Santangelo, che vede ogni giorno di più naufragare la sua povera compagnia di comici popolari, costretta a recitare nelle baracche o addirittura nelle piazze dei paesi quando c’è la fiera. Egli assiste con malinconia alla scomparsa di Pulcinella dalla scena. È malato e deve recitare per dare pane alla moglie ed al figlio, per dare ancora vita alla maschera che adora come un mito.
“Scugnizzo – Via Partenope” è un atto unico, scritto e messo in scena per la prima volta nel 1918 (Viviani vi interpretava ben tre ruoli). Il lavoro fu rappresentato successivamente nel 1921 e nel 1924. In questo atto unico dominano due temi che ricorrono spesso nel teatro di Raffaele Viviani: l’emarginazione e la miseria.
La commedia è ambientata nella zona circostante l’Hotel Excelsior. Tra i venti personaggi che vi compaiono emerge la figura dello scugnizzo, uno dei tipi più significativi ed originali del teatro di Viviani.
In questo atto unico lo scugnizzo è povero ed emarginato, ma non si rassegna al suo stato, combatte e procede con forza e coraggio nel suo cammino di protesta sociale.
Lo scugnizzo è un po’ il padrone di quella zona della città che i ricchi non frequentano, provoca e prende in giro la signuramma, che partecipa alla festa che si svolge nell’albergo. Ed è agli ospiti dell’Hotel, ai ricchi che è rivolta la protesta dello scugnizzo (Neh, munziù! È ghiuta ‘a zoccola int’ ‘o ragù… Eh, chi tanto e chi niente) e la sua presenza è un’aperta denuncia verso la società che è lì, immobile a non recepire nulla.
“La musica dei ciechi”, questo testo teatrale, fu rappresentato da Viviani per la prima volta a Roma nel 1928 ottenendo un grande successo.
“La musica dei ciechi” è un vero capolavoro, rappresenta sicuramente una fase drammaturgica di grande maturazione e di piena creatività, mescolando, con grande armonia, forma e contenuto, prosa e musica, momenti di forte drammaticità e di pacato dolore a momenti di ironia sofferta e di chiara comicità.
Questo contrasto rappresenta appunto l’originalità del teatro di Viviani.
Domina in quest’atto unico uno dei temi che ricorrono spesso nel teatro di Raffale Viviani: l’emarginazione.
Infatti, i protagonisti vivono in uno stato di totale emarginazione e povertà.
La commedia è ambientata in un angolo del borgo Marinari, nel rione di Santa Lucia, dove sono raccolti e si esibiscono i suonatori ciechi, un’orchestrina girovaga e mendicante che alterna a celebri canzoni napoletane, teneri valzer di operetta.
“L’ultimo scugnizzo” è una commedia in tre atti rappresentata da Viviani per la prima volta il 16 dicembre 1932 al teatro Piccinni di Bari (Viviani interpretava il ruolo di ‘Ntonio e Luisella Viviani quello di ‘Nnarella).
In questa commedia dominano due temi che ricorrono spesso nel teatro di Raffaele Viviani: la miseria e l’emarginazione.
La scena del primo atto della commedia è ambientata in un interno: lo studio dell’avvocato Razzulli. Il secondo atto si svolge all’esterno, nei pressi di un basso, nel vico Lepri ai Ventaglieri. L’ultimo atto è di nuovo in un interno: lo studietto di ‘Ntonio, in casa Razzulli.
Tra i ventitré personaggi che vi compaiono emerge il personaggio principale: ‘Ntonio Esposito, l’ultimo scugnizzo.
‘Ntonio vuole cambiare vita, desidera abbandonare il suo passato precario, è deciso a superarlo, ma non a rifiutarlo; tenta di procacciarsi un lavoro onesto per vivere dignitosamente e per offrire al figlio, che sta per nascere, una famiglia ed un’esistenza felice. Ma l’annuncio della morte del nascituro recide il filo della speranza e della rinascita di ‘Ntonio. Nonostante i suoi sforzi di inserirsi nel mondo del lavoro, ‘Ntonio comprende di essere diverso dagli altri, e ricade nel suo ruolo di emarginato senza alcuna speranza di cambiamento. Ecco che i concetti di scugnizzo, di emarginato e di povero si identificano.
L’ultimo scugnizzo è uno dei testi più famosi del teatro di Viviani che tocca la maggiore intensità nella Rumba degli scugnizzi, brano musicale notissimo.
Nel 1938 fu realizzata anche una riduzione cinematografica della commedia, Il personaggio di ‘Ntonio fu interpretato dallo stesso Viviani.