E’ morto a New York all’età di 82 anni il famoso neurologo e scrittore britannico Oliver Sacks. Lo scrive il New York Times online citando Kate Edgar, la sua assistente. Sacks, come lui stesso aveva annunciato a febbraio in un editoriale sul Nyt, era affetto da un cancro che lo aveva colpito al fegato. Tra i suoi più famosi libri “Risvegli”, uscito nel 1973, e “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, nel 1985.
Proprio da “Risvegli” venne tratto un film interpretato da Robin Williams e Robert De Niro. Sacks era molto noto anche in Italia: 12 suoi titoli sono usciti dalla fine degli anni Ottanta a oggi. L’ultimo, pubblicato quest’anno, è “Diario di Oaxaca”. Collaborava con la “Repubblica” e il suo ultimo intervento era stato dedicato al suo coming out.
“Non penso alla vecchiaia come a un epoca più triste da sopportare ma un tempo di piacere e libertà: libertà dalle fastidiose urgenze di giorni precedenti, libertà di esplorare i miei desideri e di legare assieme pensieri e sentimenti di una vita”. Così l’autore di “L’uomo che scambiò la moglie per un cappello” (fu il suo primo bestseller) e da ultimo “Allucinazioni”, aveva parlato il giorno del suo ottantesimo compleanno, il 9 luglio 2013. Il suo “Elogio della Vecchiaia (Non sto scherzando)” era apparso il 7 luglio sulla pagina delle opinioni del New York Times. “Ottanta! Non riesco a crederci”, scrive Sacks: “Spesso mi sembra che la vita sia appena cominciata e subito mi accorgo che sta per finire”.
Non è per giovanilismo che il neurologo si sente giovane, ma perché è cresciuto così fin da ragazzo: sua madre era la sedicesima di 18 figli, lui l’ultimo di quattro. “Sono sempre stato il più giovane nella mia classe al liceo e questa sensazione, di essere il più giovane, mi è rimasta anche se adesso sono quasi la persona più vecchia tra le mie conoscenze”.
La realtà è che, a dispetto di una serie disparata di problemi medici e chirurgici che includevano un cancro allora superato, gravi problemi di vista e alle ossa, Sacks scriveva di essere “felice di essere vivo”. Felice “di aver provato tante cose – alcune meravigliose, altre orribili – di aver saputo scrivere decine di libri e di aver ricevuto innumerevoli lettere da amici, colleghi e lettori. Di aver goduto quella che Nathaniel Hawthorne aveva definito ‘una comunione col mondo’“.
Pochi i suoi rimpianti: “Aver perso tanto tempo. Essere ancora terribilmente timido come ero a 20 anni. Non parlare altro che la mia lingua madre. Non aver viaggiato e conosciuto altre culture come avrei voluto”. Ma il bilancio è quello di una vita ben vissuta e pronta ad essere vissuta ancora per anni: “Spero di completare la mia vita”, scriveva il neurologo. E che alcuni dei suoi libri “continuino a parlare ancora” dopo la sua morte. Di qui la bellezza degli 80 anni: “Uno può ancora guardare lontano e avere un vivido, vissuto senso della storia impossibile quando si è più giovani. Posso immaginare, sentire nelle mie ossa, il significato di un secolo. Non avrei mai potuto farlo a 40 o 60 anni”.