di CORRADO CASTIGLIONE
Primo, non tacere.
“Chiacchiere e tabacchere ‘e lignamme ‘o Banco ‘e Napule non impegna”, dice la signora del quarto piano ogni volta che la conversazione sta per prendere il sopravvento su quello che le resta da fare. E tutte le volte quel suo congedo un poco di più mi rafforza nell’antico convincimento che spesso è meglio fermarsi e tacere, scegliendo la strada di un operoso silenzio. Soprattutto quando è forte la percezione che alcuni, tanti, lascino scorrere le parole a fiume solo perché il loro mestiere è quello
Così finisce per apparirmi naturale il silenzio di fronte all’ennesima morte di un giovane di quest’adorata terra. Genny aveva solo 17 anni. E’ morto ammazzato alle quattro e mezza d’un mattino, quando chi dorme sogna ancora e chi deve uscire per andare a guadagnarsi la propria giornata è già in piedi. L’ha colpito a morte uno dei proiettili esplosi all’impazzata, davanti alla chiesa di San Vincenzo alla Sanità. Nel mezzo della piazza d’un quartiere dalla scenografia incomparabile e dalla ricchezza storica, urbanistica e monumentale che altrove ci invidierebbero e invece qui lasciamo scolorire, tra palazzi sgarrupati e strade sconnesse.
Esecuzione o raid intimidatorio, di quelli che da queste parti chiamano “stese”?
Genny è una vittima innocente oppure no?
Gli investigatori se lo chiedono, domandandosi se quello che è accaduto possa avere relazione con i piccoli errori che Genny aveva compiuto. Nel suo breve passato c’era una denuncia per tentata rapina a mano armata. Ma i familiari ora spiegano che lui aveva messo la testa a posto, era tornato finalmente a scuola tra i banchi di un istituto alberghiero e frequentava pure un’associazione che si occupa del recupero dei minori.
In ogni caso sono domande che io non mi pongo. Per me Genny non doveva morire e, durante quest’ennesima notte insonne dopo il lavoro al giornale, sfoglio e risfoglio sullo smartphone le immagini che lo ritraggono al mare con uno sguardo tenero e allo stesso tempo accigliato, di quelli che i ragazzi fanno di sovente a quest’età in cui ci si comincia a sentire grandi e un poco già uomini.
Ripenso al fiume di parole che scorre intorno a lui. Trovo grave, gravissimo che opinionisti e addetti ai lavori litighino: sull’analisi dell’accadimento, sulle presunte ragioni, su quello che si poteva fare e non è stato fatto, sulle responsabilità, su quello che resta da fare…
I politici e tanti maitre a penser straparlano. E più straparlano, più litigano. Poi ci si mettono i parlamentari dell’Antimafia. Poi risorgono quelli che Gomorra non l’hanno neppure mai letto. Mentre io sto qui, non prendo sonno e torno a guardare le foto di Genny. Penso che ora al posto suo potrebbe esserci mio figlio. Perché in questa bella terra accade che i proiettili vaghino come lo Spirito Santo. Già, proprio così. Come diceva il Vangelo di Giovanni? Lo Spirito è come il vento, soffia dove vuole. E così gli spari, s’alzano all’improvviso e soffiano dove vogliono, stanotte alla Sanità, domani a Materdei, poi a Soccavo, a Ponticelli, a Forcella…
Potrebbe accadere ad uno dei miei figli, ripenso. Ne ho tre e per la legge dei grandi numeri il rischio che corrono non è basso. La cosa mi fa rabbrividire. E il sudore che mi lascia sul collo questa torrida e infinita estate subito si raffredda.
Mi alzo dal letto. Bevo dell’acqua. Cerco un asciugamani per detergermi. E infilo le camerette da letto dove i tre “porcellini” dormono: 22, 13 e 9 anni…
Allora io non riesco a stare zitto e comincio a scrivere.
Gli Stati generali della cortesia. Per me Genny è il racconto di un uomo che non è riuscito a vivere. E per prima cosa vorrei che il suo sacrificio non sia vano. Vorrei che la sua morte somigli a qualcosa di importante, ad un punto di non ritorno per la città, ad uno spartiacque che un giorno tutti noi dovremo ricordare come la risurrezione di Partenope. Avete presente la tragedia greca? La morte di quella ragazza, come si chiamava? Ah, sì, Ifigenia… Il sacrificio di Ifigenia almeno era valso a qualcosa, la tempesta finalmente s’era placata, le navi di Agamennone avevano preso il largo alla volta di Troia e l’ira di Artemide si era trasformata in compassione al punto tale che la dea in extremis s’era decisa a salvare la fanciulla e a sottrarla alla morte.
Invece qui sembra di assistere ad un sacrificio perpetuo e senza fine, che somiglia di più al tributo a perdere che ogni nove anni gli ateniesi pagavano a Creta offrendo 7 ragazzi e 7 ragazze al terribile Minotauro. No, quello di Genny non dev’essere un sacrificio a perdere. E se è vero che non possiamo tacere, è altrettanto sacrosanto che su Napoli è necessario troncare per sempre il gioco al massacro, a dividersi. Perché difendere ciascuno il proprio pensiero (o il proprio orticello?) non cambia le cose: il degrado va avanti, la camorra continua a fare affari, la città si allontana dal resto d’Italia e d’Europa, mentre i nostri figli, quando possono, vanno via.
Piuttosto fantastico e immagino l’apertura di un tempo privilegiato – breve, ma profondo – qualcosa che vada molto vicino all’istituzione degli Stati generali della città. Oggetto? La cortesia.
No, non fate quella faccia. Siete proprio convinti che lo sviluppo economico e il progresso civile non siano intimamente collegati in un reciproco e virtuoso rapporto? La cura per i beni comuni, l’attenzione verso gli altri, la capacità di valorizzare la ricchezza e la qualità delle relazioni fra i cittadini al di là degli interessi particolari, il rispetto delle regole e della legalità, la partecipazione, la coscienza dei propri doveri: possono essere tutte risorse micidiali.
E la camorra? Chiederete voi. E la disoccupazione? Con calma ci si può arrivare. Ma privilegiamo un punto di partenza. Appunto: la cortesia.
Quattro anni fa a Bologna l’amministrazione comunale ha messo su un convegno del genere. Il titolo era: “La città civile e cortese”. Date un occhio alle relazioni: verso un piano comunale per la città civile e cortese, bene comune e beni comuni, la forza della gentilezza, comportamenti urbani, cittadini attivi e beni comuni, la spinta gentile allo sviluppo sostenibile, educare alla città civile e cortese, giardinieri di civiltà.
Pensate proprio che qui non si possa fare?
Chi lo dice?
Chi lo vieta?
Ma non sia l’ennesima tavola rotonda per straparlarsi addosso e continuare a dividersi. Gli Stati generali della Cortesia devono essere una cosa seria.
Cominciamo?